Commissioni riunite Politiche dell’Unione europea e Bilancio del Senato Prof. Gianfranco Viesti (Università di Bari)
Bari, 30 settembre 2020
Nei prossimi mesi l’Italia si gioca molto del suo futuro. Bisognerà crescere in misura più decisa, e contemporaneamente ridurre fratture e disuguaglianze che tenderanno ad aumentare. Il Piano di Rilancio è una grande occasione. Per questo serve un disegno, non liste di progetti e interventi senza una visione comune che li leghi, senza che si rafforzino a vicenda. Anche perché non mancheranno conflitti per la gestione delle risorse, richieste di inserire mille provvedimenti specifici, pressioni degli interessi più forti e meglio organizzati. È difficilissimo, ma cruciale, ottenere velocemente risultati, cominciando a costruire un modello di sviluppo di lungo periodo più sostenibile. Alcuni brevi appunti in merito.
1.
Il disegno del Piano deve essere unitario, ma attento a tutti i luoghi. Le politiche devono essere le stesse, ma la loro intensità, la loro attuazione deve tenere conto delle diverse realtà. L’Italia è come una squadra di ciclisti: per vincere ognuno deve dare il suo contributo, nessuno deve restare indietro. Come nella logica europea alla base della “Next Generation Initiative”, si cresce se l’avanzamento di ognuno, specie di quelli in maggiore difficoltà, aiuta gli altri, grazie alle interdipendenze economiche.
Per questo, il Sud deve avere un ruolo molto importante nel Piano di Rilancio, coerentemente con gli scenari del Piano Sud 2030. Non solo per motivi di equità, perché molto meno dotato di servizi ed infrastrutture pubbliche; ma anche perché è la riserva di crescita dell’Italia, perché dispone delle maggiori quantità di risorse inutilizzate, in particolare umane; che oggi non producono valore per la comunità nazionale. Per questo sono necessari prerequisiti finanziari: l’allocazione quantomeno con il rispetto della clausola del 34% di tutti i fondi della “Next Generation”, in tutte le missioni. Ma anche con l’attivazione coerente di risorse già destinate al Sud: una quota significativa dei prossimi fondi strutturali e del Fondo Sviluppo e Coesione deve essere indirizzata a finanziare ulteriormente il Piano di Rilancio, per accrescerne ancor più l’impatto nelle regioni più deboli e per estenderne gli interventi per l’intero decennio.
2.
I Fondi Strutturali devono contribuire a rafforzare gli effetti del Piano di Rilancio, specie al Sud. Entro dicembre le Regioni sono chiamate a presentare a Bruxelles i nuovi documenti di programmazione per il 2021-27. L’esperienza dei programmi dei fondi strutturali è preoccupante: frammentazione degli interventi, procedure complesse, lentezza nelle
realizzazioni, scarso coordinamento fra le diverse regioni e fra livelli di governo; i programmi operativi regionali sono troppo ampi come terreni di intervento e allo stesso tempo troppo frammentati in tante misure; con conseguenti rilevanti ritardi.
Quella per il 2021-27 dovrebbe essere una programmazione assai diversa dalle precedenti: dovrebbe profondamente integrarsi al meglio proprio con il Piano di Rilancio. E quindi evitare sovrapposizioni e duplicazioni con gli interventi nazionali; inserire invece interventi complementari, che ne amplino o nel prolunghino nel tempo gli impatti positivi; prevedere, specie nel Mezzogiorno, interventi contemporanei da parte di più regioni o delle amministrazioni centrali su temi macroregionali. Le Regioni, in stretta collaborazione con il governo nazionale, dovrebbero quindi essere chiamate ad individuare priorità su cui concentrare le risorse dei Fondi 21-27 (e le capacità non infinite delle proprie amministrazioni), nel quadro di un disegno nazionale di sviluppo dei territori da presentare all’Unione Europea.
3.
E’ molto importante la coerenza fra le iniziative del Piano di Rilancio e le politiche ordinarie. Realizzare un grande piano di investimenti senza modificare alcune regole e politiche di spesa corrente può notevolmente ridurne l’impatto. In particolare, ed in questo senso, si potrebbe lavorare su alcune condizioni abilitanti che possono da subito accelerare l’attuazione del Piano.
Un esempio molto importante. Gli enti locali giocheranno un ruolo fondamentale, anche come stazioni appaltanti degli investimenti. Ma sono ormai poverissimi di risorse umane e tecnologiche; il rischio è le loro capacità di intervento siano modeste, i tempi assai lunghi. E’ indispensabile rafforzarli il più presto possibile: sarebbe opportuno accelerare i processi di reclutamento già previsti di nuovo personale delle Amministrazioni Comunali, specie quelle più piccole e nei territori più deboli.
Altro esempio. Gli asili nido saranno decisivi, specie al Sud, per favorire l’occupazione femminile: perché non pensare a un piano immediato di riutilizzo di strutture pubbliche per aprire il maggior numero di asili nido nel minor tempo? E parallelamente intervenire sulle complessive dotazioni e i criteri di riparto dei fondi per le Amministrazioni Comunali per la loro gestione, fissando livelli essenziali delle prestazioni in materia e accelerando la convergenza nei servizi fra le città meno e più dotate?
Ultimo esempio. Nelle linee del governo si prevede opportunamente di potenziare l’istruzione universitaria. In questo senso è possibile intervenire da subito, già da questo anno accademico, investendo sul diritto allo studio per i meno abbienti e varando un indirizzo nazionale in favore della riduzione della tassazione, eliminando le attuali regole (sulla allocazione dei “punti organico” per il reclutamento dei docenti) che premiano gli atenei se aumentano le tasse e invece li penalizzano nel riparto se le riducono.
4.
Il Piano di Rilancio si deve concentrare su pochi grandi assi, come quelli molto condivisibili indicati nelle Linee Guida approvate dal CIAE. Gli aspetti più importanti sono però ora quelli relativi ai temi prioritari e agli specifici progetti all’interno dei grandi assi. Due esempi: mobilità e aree urbane.
Investire sulla mobilità. Servono “grandi opere” ferroviarie, ma sapendo che hanno effetti lontani nel tempo. Può essere utile concentrare rilevanti risorse su un piano di interventi puntuali di ricucitura, efficientamento e potenziamento tecnologico delle reti esistenti. Completare l’elettrificazione delle linee ferroviarie e l’installazione del sistema di controllo e sicurezza al Sud, nelle isole, nelle linee nazionali e regionali ancora sprovviste. Acquistare treni con standard ad alta velocità al sud e lanciare una gara per aumentare l’offerta dei servizi di collegamento fra le città del Sud. Partendo dai luoghi e dalle persone per cui i miglioramenti potrebbero essere più forti e immediati, come per i pendolari della Circumvesuviana o i viaggiatori sardi e siciliani. Gli interventi sulle reti stradali e autostradali dovrebbero invece essere ridotti a pochi casi indispensabili.
Le città dovrebbero essere al centro di molti interventi: per accrescere le “capacità” delle periferie, contrastare le disuguaglianze ed evitare il rafforzarsi di pericolose sacche di disagio sociale; per rivitalizzare il terziario nei centri storici (che sarà fortemente colpito dalla crisi); per aumentare l’integrazione fra le economie urbane e i territori circostanti. Le Amministrazioni Comunali dovrebbero essere dirette destinatarie di una quota significativa delle risorse da utilizzare per gli investimenti pubblici.
In questo ambito potrebbero essere prioritari: la riqualificazione degli spazi pubblici; l’accelerazione degli interventi di efficienza energetica sul patrimonio edilizio pubblico di scuole, ospedali, uffici pubblici, edilizia sociale; il rilancio delle infrastrutture e dei servizi di mobilità sostenibile nelle aree urbane. E’ auspicabile una regia nazionale e un forte sostegno agli Enti Locali, anche in collaborazione con l’ANCI, nella progettazione, attuazione e monitoraggio degli interventi. L’obiettivo potrebbe essere, come proposto da Legambiente e ForumDD, quello di realizzare entro il 2030 almeno 200km di metropolitane, 250 km di tram, 5.000 km di percorsi ciclabili nelle città italiane.
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