di Matteo Notarangelo*
La pandemia cambia il modo di vivere. Quando si uscirà dalla quarantena sanitaria, i rituali di interazione verbale e sociale non saranno più quelli di prima. Anche se i tempi della normalità possono sembrare lunghi, ma certi, i modi di vivere e di relazionare sono già attraversati da evidenti alterazioni.
Con il coronavirus si deve convivere e adattare l'organizzazione sociale, sanitaria e economica alle sue dinamiche infettive, nella speranza che lo si possa rendere innocuo. Ma, in attesa di un buon vaccino, l'isolamento invade l'esistenza di milioni di persone, che, spesso, diventa abbandono.
I nuovi modelli di vita non sono scelte individualistiche condivise, ma gli effetti fobici e letali, indotti sulle esistenze individuali e sui rapporti interpersonali.
Per adesso, un male oscuro, invisibile e senza patria ha mostrato il suo inverosimile potere e scoperto le nudità dei “grandi” della terra, di un mondo globalizzato elefantiaco.
Nel frattempo, l'angoscia del contagio sta strutturando la nuova organizzazione, familiare, sociale e politica.
Gli individui sono chiusi nelle loro “tane”, hanno ridotto i contatti umani all'indispensabile e consegnate le loro emozioni alle piattaforme remote: Duo, Meet, Skype, Facebook ...
Da questi spazi virtuali, emerge un mondo sfocato, con individui soli e famiglie spezzate. Persone che prima erano senza volti, oggi sono ombre angosciate e angosciante, soggetti pressati dall'idea di sopravvivere, di non concedersi al Covid 19 o a qualche non conosciuto microrganismo patogeno.
L'individuo, reso fobico, non farfuglia delle sue libertà, ma delle sue insicurezze: della incertezza di vivere, anzi di sopravvivere, anche se anziano. Dal suo mondo insicuro, malinconico, invoca il vecchio assolutismo con le sue poche certezze e la garanzia di una vita protetta da un nuovo ordine mondiale, poco importa se scelto o imposto.
Il cittadino solo, impaurito, non solo dai microrganismi, vuole e domanda sicurezza, in cambio delle sue libertà. In questo tempo pandemico, l'individuo globalizzato, sottoposto ai forti condizionamenti restrittivi, si affida allo Stato. Al moderno Leviatano, l'individuo chiede la sicurezza e la certezza di poter vivere, anche in modo diverso, anche se diversamente abile, anziano, inoccupato o disoccupato.
Per tale aspettativa, i tanti individui soli sono disposti ad accettare il nuovo ordine mondiale, sociale, politico e la propria condizione di isolamento sociale.
Ma se il nuovo ordine mondiale segna i minuti e l'ora per un nuovo “contratto sociale”, lo stesso potere mondiale delega ai tecnici e alle case farmaceutiche l'incertezza di come curare la nuova pandemia. Gli scienziati raccontano agli angosciati individui di una lunga battaglia contro il virus, non tralasciando che la scienza può salvare l'umanità. Molti di loro narrano che il Covid 19 non sarà annientato, ma sarà controllato, medicalizzato.
Lasciare il Mondo nell'incertezza è un modo per governarlo.
Gli individui spaventati, schiacciati dall'inquietante potenza assassina, di questo o altri virus, subiscono la presenza ingombrante e destabilizzante dell'insicurezza sociale, che continua a trasformare i comportamenti, gli usi, i costumi, la vita di milioni di esseri umani, in modo dolce, senza alcun bisogno di militari e carri armati.
Le solidarietà tradizionale, quella organica, quella solidarietà tra uguali appartenenti allo stesso gruppo sociale, è già tramontata, come si appresta a tramontare quella meccanica, tenuta in vita solo dall'interdipendenza umana, imposta dal mondo globalizzato.
Quello che si prepara a mostrarsi, è un nuovo mondo. Un mondo geografico e sociale stratificato con nuove conflittualità e nuove “classi pericolose”. Un mondo elitario, un mondo governato da gente anonima che abita luoghi indefiniti.
Per loro, la pandemia di questo tempo non si limita solo a rompere le due solidarietà esplicitate dal sociologo Emile Durkheim, ma impone il domicilio coatto sanitario, “la dittatura sanitaria”, che, presto, sconvolgerà le regole “tacite e condivise dell'interazione sociale”.
Un percorso umano che rischia di deviare verso altri modelli societari, meno aperti, meno democratici, più selettivi.
La gestione del Covid 19, le restrizioni di distanziamento sociale, intanto, stanno modificando il noto rituale dell'interazione sociale, raccontato dal sociologo Erving Goffman: “Ognuno di noi vive in un mondo di incontri sociali che lo impegnano in un contatto sia diretto che mediato con altri interlocutori. In questi contatti si tende ad assumere una certa linea, vale a dire un modello di atti verbali e non verbali coi quali si esprime la propria opinione sulla situazione e la propria valutazione su coloro che vi partecipano e, in particolare, su noi stessi”.
In questa emergenza sociosanitaria, si stanno designando modelli societari, che trascurano gli sguardi, i gesti, le emozioni con cui le persone nutrono gli scambi affettivi e economici, nonché la partecipazione nei gruppi, l'interazione familiare, sociale e politica
La narrazione pandemica di questi giorni, scrivevo, ha già stravolto il modo di vivere, le identità, le soggettività, le passioni, le relazioni interpersonali, le esistenze di ognuno e modificato la “normalità”, i pensieri e la “vecchia” e umana comunicazione.
Nel proscenio della vita prossima, si intravedono nuove solitudini e nuovi isolamenti sociali, condizionati da vissuti esistenziali, che tracimano i confini della normalità psichica.
La sofferenza fobica di microrganismi patogeni, la libertà di vivere nella propria “tana”- “prigione”, l'impotenza di pianificare un progetto di vita e l'affidarsi a forze ignote sono le determinanti di una nuova condizione psicopatologica.
I malati psichici raccontano che il loro stato di salute è stato stravolto dalla sofferenza, da una paura che ha assediato la loro esistenza. La perdita della libertà e l'impossibilità di costruire la propria vita sono le condizioni estreme che in psichiatria spingono l'individuo a trovare altre vie d'uscita per fuggire dalla sofferenza: il delirio psicotico o l'istinto a costruire un nuovo mondo possibile, reale.
Queste sono le nuove sfide dell'individuo del terzo millennio e la pandemia, come ogni grande epidemia della storia umana, segna la rottura con un tempo antico.
E' vero, gli storici raccontano un'altra storia delle antiche pandemie. Per loro, gli uomini e le donne di allora non segnarono le loro esistenze con sconvolgimenti sociopolitici epocali. L'estate del 430 a. C., ad Atene, imperversava la guerra umana e l' epidemia divina, ma Tucidide non narra e non descrive i nuovi modelli di vita. Eppure, negli anni 527 d. C., descritti da Procopio di Cesarea e da Giovanni di Efeso, ci fu una grande e spaventosa pandemia, di quel tempo conosciamo poco delle mutazioni esistenziali. Non è diverso il racconto del 1347 quando una mortale epidemia dal Mar Nero aggredì gran parte del Mondo conosciuto. E poi, la “peste nera”, del 1630. Di quella epidemia, ne parla Alessandro Manzoni nei “Promessi sposi” e nella “Storia della colonna infame”, ma quegli uomini non raccontano il nuovo mondo costruito o da costruire. L'ultima sventura umana, fu l'influenza spagnola del 1918-1919, dopo di ché ci fu l'epoca dei totalitarismi. E, poi, le tante epidemie silenziose che non lasciarono immuni i popoli africani e asiatici di questo tempo. Ma le loro erano vite di scarto e il loro malessere accidente naturale del vivere in zone primitive.
Sono storie dell'umanità raccontate da governi, da storici, da scienziati, dalle case farmaceutiche e, oggi, dalla grande finanza, gruppi di potere chiusi, che gorgheggiano le loro narrazioni, alimentando paure e insicurezze: dicono, con un linguaggio seducente e statistiche orientate, che agiscono per evitare che le popolazione si contagino.
Restare chiusi in casa è la soluzione del problema?
Per evitare i mille pericoli naturali, gli uomini e le donne preistoriche non si chiusero nella caverna, decisero di aprirsi ai loro simili.
Da allora, ebbe inizio il lungo processo di civilizzazione umana.
*Sociologo e counselor professionale.
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