Contributo su Linee guida Recovery Fund del Dr. Marco Ascione - Eurispes

Contributo su Linee guida Recovery Fund del Dr. Marco Ascione - Eurispes

Contributo su Linee guida Recovery Fund del Dr. Marco Ascione – Eurispes

Venerdì 4 settembre il segretario nazionale del Pd, Nicola Zingaretti, in un’intervista al Il Mattino ha dichiarato che “azzerare il divario tra Nord e Sud è prioritario per il Pd”. Ha anche affermato che negli ultimi anni, nel suo partito, con la spesa storica ci sono state sperequazioni e spinte nordiste. Ha poi aggiunto che grazie al Recovery Fund e alle altre importanti risorse europee “abbiamo la grande occasione di disinnescare finalmente un lunghissimo conflitto tra Nord e Sud del Paese che ha fatto male a tutti. […] L’emergenza Covid non è stata una livella: ha colpito in maniera differente il Paese, aumentato disparità e tolto il velo sugli insopportabili squilibri che esistono in Italia. Pensiamo solo a che cosa ha significato per tantissimi ragazzi del Sud non aver avuto la possibilità di dare continuità ai processi formativi, in mancanza di connessioni digitali. Ora quindi il nostro sforzo deve essere orientato in primo luogo a innalzare la qualità dei servizi essenziali in quelle parti del Paese dove essi sono più carenti. Scuola, asili nido, infrastrutture materiali e digitali, sanità. Questi sono i grandi pilastri su cui ricostruire un Paese più giusto dopo l’emergenza”.

A leggere queste righe sembrerebbe che in Italia ci si stia incamminando finalmente verso la strada della legalità e costituzionalità, rispetto a quanto finora disatteso dai governi precedenti in materia di equità fra Nord e Sud. Tuttavia, ogni entusiasmo cede il posto allo sconforto quando nell’intervista si legge che Zingaretti ha precisato che al Sud andrà il 34% dei soldi del Recovery fund. Tra l’altro, con tale dichiarazione Zingaretti abbassa ulteriormente la percentuale di fondi da stanziare al Mezzogiorno, rispetto a quella annunciata lo scorso 31 luglio dal responsabile Economia del suo stesso partito, Emanuele Felice che, in un’intervista rilasciata sempre per Il Mattino, aveva dichiarato che al Sud va concesso il 40% dei fondi del Recovery (“penso che il 40% verso il Mezzogiorno sia un buon equilibrio” aveva affermato). Percentuale configurata in precedenza poi anche dalla ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli; vedi: https://www.partitodemocratico.it/infrastrutture/de-micheli-al-sud-il-40-del-recovery

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Alla luce di questo, è evidente che a nessuno di essi paiono essere particolarmente chiari i criteri dettati dalla Ue per la ridistribuzione dei Recovery fund. L’Italia è divenuto il paese europeo a beneficiare della fetta più cospicua di tali fondi (ben il 28% del totale) proprio a causa della difficile situazione del suo Mezzogiorno. Con i parametri europei il Sud ha infatti contribuito ad attirare ben 135 miliardi dei 209 assegnati all’Italia dalla Ue. Pertanto, al Mezzogiorno è dovuto il 65% dei Recovery fund concessi all’Italia, che per l’interdipendenza economica Nord-Sud (effetto rimbalzo), diviene poi il 70% (corrispondente così a circa 145 miliardi; vedi: https://movimento24agosto.it/wp-content/uploads/2020/07/Recovery Fund_prima_parte_28072020-Sito.pdf).

Se difatti il Nord è stato la parte del paese con il maggior numero di contagi e di perdite in termini di vite umane, con il lockdown il Sud ha subito le conseguenze economiche peggiori. Dopo il lockdown, solo riguardo alla possibilità che le aziende non riaprano più, il Sud presenta un rischio che è circa quattro volte più elevato del Nord, con tutto ciò che comporta in termini di disoccupazione e di allargamento del divario. L’Unione europea è stata dunque molto chiara, fissando dei criteri ben precisi per l’attribuzione dei soldi del Recovery fund. Il primo è quello del reddito pro capite (vengono assegnati tanti più fondi quanto minore è il reddito pro capite); e al Sud è circa la metà di quello del Nord. Il secondo criterio è basato sul tasso medio di disoccupazione riscontrato negli ultimi cinque anni (al Sud il triplo di quello del Nord); anche in questo caso vengono attribuiti maggiori fondi alle aree con valori della disoccupazione più alti. Il terzo criterio infine coincide con quello relativo alla percentuale della popolazione. Praticamente, il solo a cui, in modo diverso, fanno riferimento Felice, De Micheli e Zingaretti, interpretando creativamente i fermi dettami imposti dalla Ue. Quest’ultimo addirittura lo vorrebbe applicare pedissequamente, attribuendo al Mezzogiorno una quota di fondi corrispondente esattamente alla percentuale della sua popolazione (la popolazione del Sud è appunto circa il 34% di quella italiana). Zingaretti forse confonde la misura dei Recovery fund varata dalla Ue lo scorso luglio con la “clausola del 34%” (legge italiana del 2017); peccato che quest’ultima non abbia però nulla a che vedere con la prima. Peraltro, la “clausola del 34%”, per venire concretizzata, non dovrebbe essere

accompagnata da alcuna dichiarazione d’intenti. Essendo infatti già legge, dovrebbe essere applicata e basta; in via obbligatoria. E invece sono più di tre anni e mezzo che esiste, ma non ha mai trovato attuazione da parte dello Stato italiano che, viceversa, la elude sistematicamente commettendo un vero e proprio illecito. Inoltre, tale norma si riferisce all’assegnazione al Mezzogiorno del 34% della spesa pubblica concernente, però, soltanto le “risorse per programmi di spesa in conto capitale”; dunque non è applicabile all’intera spesa pubblica allargata. Paradossalmente, poi, questa clausola minimalista si va a sovrapporre a delle leggi già esistenti di attuazione della Costituzione, e ai relativi articoli costituzionali, senza alcun valore sostitutivo degli stessi, né tanto meno riuscendo a soddisfarne la portata, se non per un segmento del tutto irrisorio. In altre parole, si potrebbe dire che la “clausola del 34%”, di fatto, sia stata varata per dare una parvenza di risolutezza, a fronte dell’inadempienza sistematica e quasi ventennale dello Stato, nel dare attuazione alle sue stesse norme di origine costituzionale. Infatti, lo ricordiamo, lo Stato italiano è reo di eludere sistematicamente (soprattutto nella fattispecie della Commissione Bicamerale per l’Attuazione del Federalismo Fiscale) il Titolo V della Costituzione (specialmente gli articoli 117 e 119) recepente le modifiche sul federalismo fiscale apportate nel 2001; le leggi di attuazione della Costituzione (come la Legge Calderoli sul federalismo fiscale, ovvero la n. 42 del 2009, o anche la 243 del 2012); le imposizioni delle sentenze della Corte Costituzionale (come, ad esempio, la n. 141/2016 o la n. 273/2013 o anche la n. 65/2016); il Dpcm del 27 marzo 2015; e dunque anche la “clausola del 34%”, cioè la legge n. 18 del 2017, in essa contenuta.

La trasgressione da parte dello Stato di tutte queste norme, come calcolato da noi dell’Eurispes, è costata al Sud ben 840 miliardi di euro di spesa pubblica (netta) spettantegli di diritto, della quale è stato illecitamente privato, solamente nel periodo che va dal 2000 al 2017. Di conseguenza, a ciò è corrisposta tutta una serie di enormi riduzioni dei diritti civili goduti dai cittadini del Mezzogiorno, rispetto a quelli del Centro-Nord; e questo in termini di diritto alle cure, agli asili nido, all’assistenza ai disabili, agli anziani, in termini di diritto alla cultura, alle infrastrutture, ai treni, agli incentivi all’occupazione, al sostegno all’industria, all’agricoltura, al commercio ecc.

Le ultime dichiarazioni di Zingaretti, nonché quelle della ministra De Micheli e del responsabile Economia del Pd Emanuele Felice, suonano dunque come l’ennesimo preludio a nuovi atti illegittimi perpetrati dallo Stato a danno del Sud, stavolta però, in barba a quanto rigorosamente sancito dall’Unione europea. E quel che è peggio è che, ancora una volta, dinanzi a chi è “abituato” a godere di circa la metà dei propri diritti, si cerca di far passare per concessione generosa (dopotutto si concedono risorse in proporzione finalmente alla popolazione del Sud: il 34%) un assaggino di quella grossa fetta che invece spetta di diritto (europeo stavolta).

La ministra De Micheli ha inoltre tirato in ballo un’ennesima commissione per il ponte sullo Stretto, nonostante il progetto ci sia già, sia pronto e cantierabile e sia costato 300 milioni di euro. In termini di studi vi sono addirittura 6 metri cubi di carte riempite in mezzo secolo di analisi. Tuttavia, il governo ha stabilito che bisogna fare un ennesimo studio apportante “gli elementi per le valutazioni e le decisioni politiche”. Tale studio durerà due mesi, giungendo così a completamento in abbondante ritardo per rientrare tra i progetti da finanziare con il Recovery fund. Lo stesso Zingaretti non si è espresso in maniera entusiasta a favore del ponte. Non far rientrare il progetto del ponte sullo Stretto nei Recovery fund può significare far slittare ancora una volta il progetto di portare l’alta velocità in Sicilia e di rimodernare una rete ferroviaria che sulla tratta Siracusa-Trapani, ad esempio, prevede dalle 12 alle 14 ore di viaggio, con soli 4 treni al giorno (la tratta inversa ha solo 2 treni). La conseguenza è che, a ruota, perde di significato anche la realizzazione dell’interconnessione infrastrutturale fra i porti del Sud che potrebbero fare dell’Italia il più grande connettore mercantile d’Europa, grazie soprattutto agli scambi commerciali con la Cina, tramite l’apertura della nuova Via della Seta.

In una diretta facebook con gli aderenti al suo nuovo movimento politico (M24A per l’Equità Territoriale), nato da poco più di un anno, Pino Aprile ha manifestato la risoluta volontà di comunicare direttamente alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nonché al Consiglio dell’Unione europea e alle altre commissioni preposte, le intenzioni di detti soggetti politici, di fatto, dichiaranti esplicitamente di voler violare le regole imposte da Bruxelles per il corretto uso dei Recovery fund (https://www.facebook.com/Movimento24Agosto/videos/1031737540579814). In caso d’insuccesso dell’iniziativa (per l’eventuale refrattarietà del decisore politico italiano), Aprile ha annunciato che si rivolgerà all’European

Ombudsman (organo della Ue che indaga sulle denunce dei cittadini contro le istituzioni) e, qualora si rendesse necessario, finanche al tribunale internazionale della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, trattandosi di una questione a carattere discriminatorio, di sottrazione e violazione dei diritti civili e umani.

Una prima lettera di denuncia della mancanza di equità ai danni del Sud era stata inviata dal movimento politico di Pino Aprile alla von der Leyen prima dell’assegnazione dei Recovery fund. E circa un mese fa la von der Leyen ha risposto rassicurando di dare seguito alla cosa (https://www.facebook.com/Movimento24Agosto/photos/a.108053053946688/306617694090222/). Il fatto quindi verrebbe ad aggiungersi a un precedente intervento sulla questione, partito in questo caso direttamente dall’Europa nei confronti dell’Italia. Infatti - nel constatare, fra le altre cose, che le risorse aggiuntive dovute ai fondi comunitari per il Mezzogiorno sono divenute sostitutive delle risorse ordinarie non impiegate dallo Stato italiano -, lo scorso ottobre, la Ue ha inviato all’Italia una lettera di richiamo, in cui addirittura le ha intimato di tagliarle i fondi strutturali, qualora dovesse persistere nell’attuale atteggiamento di sottrarre investimenti al Sud. Nella lettera, il direttore generale per la Politica Regionale della Commissione Ue, Marc Lemaitre, ha scritto riguardo alle “cifre più che preoccupanti sugli investimenti al Sud, che sono in calo e non rispettano i livelli previsti per non violare la regola Ue dell’addizionalità”. Aprendo i lavori della Settimana europea delle città e delle regioni a Bruxelles, Lemaitre, riguardo a tali investimenti pubblici, ha dichiarato: “Non conosco nessun altro Paese che ha una situazione così debole. Gli sforzi europei fatti attraverso il bilancio comunitario sono stati neutralizzati dai tagli agli investimenti pubblici nel Mezzogiorno.” Proseguendo, il direttore generale ha poi affermato: “Siamo certi che con un’attenzione adeguata dedicata a questo campo potrebbero esserci molti investimenti pubblici in più al Sud. E allora, forse, cominceremmo a fare la differenza.” Giusto a titolo di esempio, nelle regioni svantaggiate dell’Europa centrale, che ricevono i fondi strutturali come quelle del Mezzogiorno, il tasso di investimenti è del 4%, mentre per il Sud Italia si era concordato per lo 0,43% (già enormemente di meno rispetto a tali regioni centroeuropee), ma si è realizzato solo lo 0,38%. Inoltre, i fondi allo sviluppo e alla coesione che la Ue aveva assegnato all’Italia per favorire la convergenza fra differenti aree del Paese (mediante il miglioramento delle condizioni di crescita e di occupazione delle regioni meno sviluppate) - destinati per l’85% al Sud, ma poi spostati su altre voci di spesa - ammontavano (per la programmazione 2007-2013) a 63,3 miliardi. Di essi, più di un terzo, e cioè 22,3 miliardi, è stato spostato sul risanamento dei conti pubblici (per la crisi dei debiti sovrani), tramite una delibera Cipe. Dopo l’arginamento della crisi (nella programmazione 2014-2020), i fondi per lo sviluppo e la coesione ammontavano invece a 68,8 miliardi. Da essi sono stati decurtati 9,5 miliardi, utilizzati per altri provvedimenti legislativi. Complessivamente, i tagli apportati in tredici anni sono stati di 31,8 miliardi, dei quali l’85% (oltre 27 miliardi) tolti al Mezzogiorno.

Tornando, infine, ai Recovery fund, quanto sopra osservato sfuma in tinte ancor più gravi e fosche se si considera che - rispetto a quanto è emerso dalla recente desecretazione dei documenti riservati e inviati lo scorso 7 marzo dal Comitato tecnico scientifico al ministro della Salute Roberto Speranza - al Sud non avrebbero dovuto essere estese le medesime misure restrittive di lockdown applicate a regioni del Nord quali Lombardia, Emilia Romagna o Veneto. Infatti, data la diffusione del virus, le indicazioni suggerivano di mettere in atto misure di contenimento differenziate, applicandone di più rigorose solo in determinate zone (in particolare, in Lombardia e nelle province di Parma, Piacenza, Rimini, Reggio Emilia e Modena; in quelle di Pesaro e Urbino, Venezia, Padova e Treviso, Alessandria e Asti). Tuttavia, il Governo ignorando tali indicazioni ha esteso il lockdown a tutto il territorio nazionale,

inducendo danni pesantissimi che, evidentemente, si sarebbero potuti evitare alla già fragile economia meridionale. A tale riguardo, è interessante rilevare che è stata intrapresa un’azione legale da parte del nascente Movimento per il Nuovo Sud, che ha avviato un’inchiesta con i propri legali, per valutare i danni arrecati alle regioni meridionali, in vista di un possibile risarcimento.

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admin m24a

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