di Pietro Fucile*
Chi non è giovanissimo ricorderà il clima da psicosi che, vent’anni fa, generò la scoperta dell’encefalopatia spongiforme bovina nella “vacca 103” della cascina Malpensata di Pontevico, nella Bassa Bresciana. Era il tempo della “Mucca Pazza”, animale biologicamente erbivoro e invece nutrito con farine animali, oggi vietate. Una crisi economica per la filiera della carne più che un’emergenza sanitaria vera e propria che, per il clamore e per l’interesse che suscitò, può essere accreditata quale chiave di volta di una più generale consapevolezza e attenzione rispetto al cibo che mangiamo.
Da quella vicenda derivarono importanti misure a tutela della sicurezza alimentare, ma non venne messo in discussione un modello che, ancora oggi, principalmente con gli allevamenti intensivi, ha per cardine la massimizzazione del profitto a discapito della salute e dell’ecosistema. Da allora molte inchieste se ne sono occupate e, mostrando in Tv la miserrima vita da cloni a cui sono condannati milioni di animali, hanno indotto una fetta di cittadinanza (ancora largamente minoritaria) a comportamenti alimentari eticamente conseguenti.
Ma, anche a voler tenere l’etica un po’ da parte, ci sarebbero molte ragioni, meno incisivamente raccontate, che consiglierebbero di procedere verso un’immediata e radicale trasformazione del settore zootecnico.
Uno studio dell’Ispra ha certificato che gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di inquinamento per “polveri sottili”, arrecando più danni di quelli che fa l’industria. Per l’unità investigativa di Greenpeace le emissioni di gas serra degli allevamenti intensivi rappresentano in Europa il 17 per cento delle emissioni totali, pari a quelle di tutte le automobili, i furgoni e le moto messe insieme. Per produrre proteina animale occorre un quantitativo di acqua sei volte superiore rispetto a quanta ne occorre per la proteina vegetale, vale a dire che per fare un hamburger ci vogliono quasi 3.000 litri di acqua. Può poi tacersi, in piena pandemia, il ruolo ben riconosciuto svolto da questo tipo di allevamento nella diffusione di infezioni virali simili al Covid? Si stima che tre quarti delle malattie infettive abbia origine animale e le specie allevate trasferiscono all’uomo un numero straordinario di virus.
Un recentissimo studio di Demetra, ci ha dato conto di quanto sia diventato insostenibile il costo della carne: oltre il prezzo sullo scontrino, ci sono 36 miliardi di “costo nascosto”, 19 euro per ogni chilo, corrispondente al valore economico dei danni ambientali e di quelli sanitari. Per avere un ordine di grandezza, si tratta di una cifra che in Italia è equivalente alla somma di tre imposte: quella sull’energia elettrica (14,4 miliardi), l’addizionale regionale (11,8 miliardi), e quella sui tabacchi (10,5 miliardi).
Tuttavia, la ricca lobby degli allevatori, massimamente concentrata in Lombardia, è riuscita a saldare i propri interessi a quelli di un blocco politico del Nord la cui più forte rappresentanza risiede nella Lega Nord, divenendo con esso un blocco elettoralmente egemonico, capace di intercettare le cospicue sovvenzioni nazionali e i generosi sussidi provenienti dall’Ue e parallelamente impedire qualsiasi ipotesi di ragionevole transizione verso una produzione di carne ecosostenibile. In barba ad ogni evidenza, sono molti i paladini padani degli allevamenti intensivi, così come dell’agricoltura industriale. Ed è istruttiva la consultazione del seguitissimo blog del leghista bresciano Fabio Rolfi, titolare dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Lombardia, che tra interventi dal sapore propagandistico e prese di posizione contro i migranti, infila con sistematicità contributi che minimizzano e scherniscono le tesi, ampiamente dimostrate, degli ambientalisti, ridotti da Rolfi ad “estremisti ideologici”.
Non c’è speranza di svolte green, non c’è la possibilità di poter ridurre l’impatto ecologico. Nessuna persona ragionevole può essere interessata a lasciare queste questioni nelle mani di un blocco padano, retrogrado e vorace, sempre pronto a sacrificare sull’altare del (proprio) “profitto”, sia l’Ambiente che la Salute delle persone, come anche il Futuro di tutti.
*M24A ET - Campania
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