di Matteo Notarangelo*
La pandemia ha mostrato che la scuola non è gratuita: chi non dispone di mezzi informatici e connessione a internet non ha le stesse opportunità scolastiche. A scuola, le nuove disuguaglianze sociali si notano subito. Il gruppo classe è eterogeneo, ha strumenti didattici diversi e parla linguaggi diversi. Ci sono ragazzi esclusi e quelli inclusi dal sistema scolastico. Gli inclusi hanno disponibilità economiche, un forte supporto familiare, ausili tecnologici e conoscenze informatiche. Con loro, in classe, convivono gli alunni e gli studenti esclusi, fragili con famiglie deboli e numerose, senza mezzi informatici e poche conoscenze digitali.
In questo periodo pandemico, gli alunni e gli studenti esclusi sono stati lasciati nelle loro abitazioni, quasi dimenticati dagli operatori scolastici e dagli operatori dei servizi sociali e scolastici comunali.
Tra la Scuola e il Comune è mancata la condivisione di interventi comuni a domicilio per contenere i disagi dei ragazzi in età scolastica a rischio dispersione.
Per altre ragioni, la stessa considerazione hanno avuto gli alunni e gli studenti definiti BES e DSA, provenienti da famiglie svantaggiate.
Tra gli ultimi, tra gli invisibili, tra coloro che rallentano il passo didattico, ci sono anche i ragazzi e le ragazze che provengono da famiglie divise, conflittuali, multiproblematiche con genitori oppressi dal disturbo mentale.
Questa è la popolazione della scuola pubblica, che molti la vorrebbero organizzare come un'azienda, vendendo servizi educativi, formativi, saperi e conoscenze a famiglie-clienti.
In quest'anno scolastico, neanche la scuola creativa di tanti docenti, malpagati, assorbiti dalla didattica a distanza e dalla forte e insensata burocratizzazione del formalismo dell'istruzione, è stata capace di arginare le moderne e le antiche ingiustizie.
Ogni giorno, le famiglie, gli alunni e gli studenti hanno vissuto la forte disuguaglianza sociale, economica e culturale, pianificata dalle politiche economiche governative, che tracciano il percorso alla scuola privata.
Questi gruppi sociali esclusi, non avendo gli strumenti digitali, sono stati ignorati dalla didattica a distanza e resi vittime della digitalizzazione della "scuola di emergenza".
I docenti raccontano di alunni e studenti invisibili, privi di computer, mai collegati alle piattaforme e sconosciuti agli enti locali, quasi ovunque assenti.
I dirigenti scolastici, invece, evidenziano che il Ministero alla Pubblica Istruzione ha concesso in comodato d'uso, per pochi mesi, alcuni dispositivi informatici per gli alunni e gli studenti appartenenti a famiglie svantaggiate, ma hanno trascurato le difficoltà dei ragazzi e delle famiglie a utilizzare i tablet e a connettersi a internet.
In questi giorni sono state ascoltate tante storie di povertà silenti e senza alcuna voce. Storie di vita di donne e di uomini, incapaci di far conoscere le narrazioni del loro difficile vivere quotidiano.
Da tante realtà geografiche, emerge il bisogno di narrare le tante ingiustizie subite e le continue incertezze della Ministra.
La didattica a distanza è stata l'apoteosi della disuguaglianza sociale, la pratica dell'ingiustizia scolastica, l'annuncio di una prossima didattica, concessa a una parte dei ragazzi, quella agiata, dotata di dispositivi informatici e connessione a internet.
Eppure, è risaputo che il sistema scolastico italiano è poco digitalizzato e tante famiglie non dispongono del computer o della rete internet. Da quanto è accaduto, sono molti coloro che continuano a dubitare della veridicità della scuola gratuita e obbligatoria.
Sul proscenio della vita, sta prendendo forma una scuola diversa, una scuola elitaria per chi affretta il passo della conoscenza e una scuola povera per chi rallenta il cammino dell'alfabetizzazione.
Anche se i padri costituenti l'hanno scritto nella Costituzione e hanno indicato come rimuovere i tanti ostacoli, soprattutto economici che limitano la formazione culturale di molti cittadini, tante istituzioni dello Stato restano indifferenti di fronte a tanta discriminazione, a tanta disuguaglianza, a tanta ingiustizia.
Un po' ovunque, si sente dire che la buona istruzione è un modo per migliorare le codizioni esistenziali delle persone fragili, un investimento per migliorare la vita delle comunità.
Un seducente parlare di occasione delle "anime belle", una buona ragione, quindi, per lasciare indietro, fuori dalla scuola, gli esclusi, i poveri, i diversamente abili, chi rallenta il passo educativo e formativo dei ricchi, dei sani.
La "buona scuola" è colma di questi pensieri, diventa retorica, modo di dire di tante personalità pubbliche, che continuano a trascurare il disastro della scuola italiana, con locali fatiscenti e priva di carta igienica e sapone, affidata a oltre 200.000 docenti precari.
Gli economisti lo sanno bene: l'istruzione è un bene pubblico, un investimento per far crescere il "capitale umano". E come ogni capitale, c'è chi vuole trasformare la scuola in un servizio a domanda, privatizzandola.
Privatizzare l'istruzione pubblica, rendere la scuola un'azienda è accettare di eliminare dai percorsi educativi chi non ha potere contrattuale, chi rallenta il passo ai ricchi. A chi dispone di mezzi, risorse e tempo libero e non interessa e non vuole condividere le fermate, le difficoltà economiche e sociali dei poveri, dei deboli, delle persone svantaggiate.
Con la sospensione delle attività scolastiche, si è capito che i nuovi "poveri" ci sono e sono gli alunni, gli studenti che rallentano il passo. Agli esclusi, ci pensi lo Stato con la sua nevrotica burocrazia, ripetono i neoliberisti italiani.
Agli inclusi, invece, lo Stato garantisca il libero mercato della scuola, un sistema scolastico privato, finanziato e pagato con risorse pubbliche.
C'è già chi ha pensato a voucher scolastici, certificati emessi dalle autorità pubbliche per pagare l'educazione.
In questo modo, le famiglie potranno scegliere la scuola privata, quella dei ricchi. Questo sistema di finanziamento della scuola privata è stato proposto dall'economista neoliberista Milton Friedman e fatto proprio in America e in Cile. A distanza di tempo, in quei Stati si è determinata "maggiore disuguaglianza e una maggiore segregazione".
Le famiglie ricche hanno scelte scuole costose, integrando la retta mensile con i voucher, lasciando le scuole pubbliche con pochissime risorse economiche e tecnologiche alle famiglie povere.
È stato questo il modo per differenziare la scuola pubblica da quella privata, frequentata da alunni con lo stesso livello socioeconomico.
È ovvio, chi propone questo modello scolastico pensa a studenti con un maggior potere economico che chiederà, oggi, una istruzione di qualità e, domani, la guida di un Paese, ingiusto, disuguale e conflittuale.
Tanta disuguaglianza annuncia il ritorno, necessario, della "classe pericolosa".
*Sociologo e counselor professionale.
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