ERAN 300, E ORA SONO 500 I SINDACI DEL SUD: DA BRUXELLES AI COMUNI CONTRO LO SCIPPO DEL RECOVERY FUND

ERAN 300, E ORA SONO 500 I SINDACI DEL SUD: DA BRUXELLES AI COMUNI CONTRO LO SCIPPO DEL RECOVERY FUND

ERAN 300, E ORA SONO 500 I SINDACI DEL SUD: DA BRUXELLES AI COMUNI CONTRO LO SCIPPO DEL RECOVERY FUND

di Pino Aprile*

Eran 300, dopo appena una settimana, non tutti giovani e comunque forti; due giorni dopo sono già più di 500: il fenomeno dei sindaci del Sud che si aggregano in massa, per non farsi scippare le risorse del Recovery Fund è il fatto politico e sociale più rilevante degli ultimi decenni. I “prenditori seriali” della rapina nota come “spesa storica” fanno finta di niente, sperando nell'aiuto degli ascari del Sud che (persino in Parlamento) parlano ancora di 34 per cento degli investimenti del RF nel Mezzogiorno, come se l'Unione europea non avesse dettato altri criteri che portano a più alte percentuali.
E questo ciclone arriva dopo che per la prima volta, in mezzo secolo di esistenza delle Regioni, tutti i rappresentanti di quelle meridionali hanno avviato un'azione comune sui criteri di ripartizione dei soldi del RF, con un documento inviato all'allora capo del governo, Giuseppe Conte (toccherà replicare con Draghi) e alla presidenza della Conferenza Stato-Regioni, da sempre filo-padana. Il tono, in sintesi e tradotto dal politichese, era: non provate a fregarci (i presidenti meridionali, in realtà, “ci starebbero” al 50 per cento vero di RF, cui si aggiungerebbero altri fondi già stanziati).

Quello che sta accadendo ha fatto rimettere in moto (piano, purtroppo molto piano) l'intergruppo parlamentare per il Mezzogiorno, senatori e deputati, che poco efficiente già prima, si è fermato per la fine del passato governo e prova a ripartire (piano, purtroppo molto piano) con il nuovo. Ma intanto esiste e non era mai esistito prima.
A Bruxelles, alcuni parlamentari cinquestelle meridionali hanno abbandonato il Movimento e aderito al gruppo dei Verdi-Efa, che sta per European Free Alliance, la formazione dei popoli senza Stato. Uno di loro, in particolare, Piernicola Pedicini, è molto attivo nel sostenere i diritti del Sud e ha calcolato quanto dei RF dovrebbe andare al Mezzogiorno applicando i criteri europei: poco meno del 70 per cento (confermando lo studio del nostro Movimento 24 agosto per l'Equità Territoriale). Pedicini è pronto a spostare nel Parlamento europeo la battaglia contro la rapina padana delle risorse per il Sud.

L'iniziativa dei sindaci è la saldatura del risveglio meridionale: Comuni-Regioni-Parlamento nazionale-Parlamento europeo. Il Pun, il Partito unico del Nord, avverte difficoltà mai avute nel trasformare la riduzione dei diritti del Sud in propri privilegi; per ora reagisce arroccandosi, senza capire cosa stia accadendo (a parte pochi: vedi Stefano Bonaccini, presidente dell'Emilia Romagna, iperleghista iscritto al Pd); un po' perché si continua a fare per inerzia quanto si è sempre fatto e si sa fare, un po' perché la disistima verso i terroni porta a non ritenerli capaci di ostacolare l'azione e le pretese dei poteri padani pigliatutto.

I sindaci hanno scoperto di essere stati di nuovo traditi dallo Stato: non avevano loro detto che i due terzi dei soldi del Recovery Fund, stando alle indicazioni della UE, dovranno essere gestiti dai Comuni. È stato il professor Gianfranco Viesti a rilevarlo; noi del Movimento 24 agosto per l'Equità Territoriale ne abbiamo fatto una campagna di informazione, con le nostre pagine, il blog, le dirette con il professor Viesti e i sindaci, a molti dei quali abbiamo telefonato a uno a uno, per avvisarli di cosa spetta ai Comuni più poveri, già derubati dallo Stato, con le carte false (sparite dagli archivi) sulla perequazione orizzontale, fatte dalla Commissione parlamentare presieduta allora dal leghista Giancarlo Giorgetti, ora addirittura ministro allo Sviluppo (del Nord): una dichiarazione di guerra al Sud.
Quindi dovevano essere i sindaci a mobilitarsi. Una cosa che non è mai successa, così, anche perché a rappresentarli c'è l'Anci, l'associazione del Comuni d'Italia. Che è a conduzione nordica (anche quando, come ora, è presieduta, per la seconda volta in oltre un secolo, da un meridionale) e ha, di fatto, sempre penalizzato i più deboli e il Sud (queste strutture, come la Conferenza Stato-Regioni, sono strumenti per il mantenimento del Mezzogiorno nella condizione coloniale). Ma con i Comuni più poveri ridotti al fallimento o in stato pre-fallimentare, l'idea di esser privati pure della possibilità di rinascita con il RF è inaccettabile per i sindaci, ci siamo detti, e dovrebbe indurli a far fronte comune per impedirlo.

Ho chiamato, così, un paio di sindaci in gamba, Roberto Ameruso, di Tarsia, in Calabria e Davide Carlucci, di Acquaviva delle Fonti, in Puglia, che è riuscito a dare una spinta decisiva alla mobilitazione dei suoi colleghi, con il suo attivismo. L'iniziativa è stata volutamente “non targata” dal nostro Movimento, né può esserla da altra parte politica (se qualcuno ci prova la danneggia), perché i sindaci del Sud e i loro amministrati soffrono della stessa privazione di risorse e diritti, quale che siano le appartenenze. La velocità con cui cresce il numero dei sindaci che si aggregano è un indice chiarissimo del grado di esasperazione e di bisogno di contare.

E l'interlocutore non può che essere il capo del governo: è lui che ha in mano il timone del Recovery Plan. A Mario Draghi è stato rivolto il primo documento, con i dettagli delle richieste dei sindaci, alla luce delle indicazioni europee. Ma finora, nessuna risposta. Cosa che ha indotto una delegazione di sindaci a un incontro, che avverrà domani, con la ministra per il Mezzogiorno, Mara Carfagna, che ha appena chiuso gli “Stati Generali del Sud”: due giorni di relazioni per farsi dire quello che della Questione meridionale si sa da sempre. Per carità, meglio che se ne parli e non che se ne taccia; il rischio è che si resti al “se ne parla” e la fregatura sia sempre la stessa, come si è visto qualche giorno prima, con la Commissione parlamentare guidata dal senatore pugliese Dario Stefàno che bla, bla, bla..., e cotanto senno (altrui) inutilmente profuso, per poi sentire Stefàno parlare di 34 per cento dei fondi del RF al Mezzogiorno, per disciplina di partito, il Pd, ovvero: «Forza padron Pun: io tengo fermo il Sud e voi lo spogliate». Questo è il colonialismo.

E similmente, la ministra Carfagna in due giorni, non ha mai accennato al fatto che i due terzi delle risorse RF vanno ai Comuni; non alle vere percentuali destinate al Mezzogiorno, secondo i criteri europei, tirando fuori un 50 per cento “misto” fra fondi RF e altri già assegnati al Sud che sa di presa in giro; un “no” al Ponte sullo Stretto, che non rientrerebbe nei tempi del RF (ma è stata smentita dal sindaco di Messina, Cateno De Luca); e tutto questo, dopo lo scivolone sui “lamenti” dei meridionali (i ladroni della banda padana parlano così delle legittime rivendicazione di diritti e investimenti sottratti al Sud). Non si sa se quei testi carfagnani siano a cura del consulente “meridionalista” scelto dalla ministra, Piercamillo Falasca, campano, ammiratore e seguace di Luca Ricolfi, l'analista dati che pur di inventare “Il sacco del Nord” da parte del Sud, ha trasformato in valore il primato europeo della disoccupazione nel Mezzogiorno (beccandosi i divertiti richiami del docente di economia alla Ca' Foscari di Venezia, Giuseppe Tattara).
Dall'incontro della ministra Carfagna con la delegazione dei sindaci non ci aspettiamo niente, se non un altro po' di chiacchiere dopo quelle degli Stati generali. Ma saremmo ovviamente felicissimi di poter essere costretti ad ammettere di avere sbagliato.

* presidente M24A-ET

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