di Daniele Quarta
L’epidemia del “coronavirus” non sta solo mettendo in pericolo la salute dei cittadini, ma sta anche facendo venire alla luce un'altra emergenza sanitaria: la salute del nostro Sistema Sanitario Pubblico. Come un velo sgranato e lacero con cui si vuole coprire una grave verità, l’ipocrisia della classe politica, che vanta il nostro sistema sanitario pubblico come un modello sociale di welfare unico al mondo, cerca di coprire la sua complicità nel favorire un inesorabile processo di smantellamento del sistema pubblico a vantaggio di quello privato.
Peccato che in una crisi epidemica come quella che stiamo vivendo in Italia chi è in prima linea è proprio il presidio pubblico. La sanità privata è assente in questo delicato momento di urgenza sociale, perché sembra non essere “attrezzata” all’emergenza. Ma certo è ovvio! Un’epidemia è un cattivo affare in tutta la sua fase acuta, almeno fino a quando non ci sia da “vendere” terapie sperimentate!
È un’altra magia del neoliberismo che tanto affascina i nostri politici, inetti quanto colpevoli e che sta già creando grave danno alle comunità del centro-nord e un conclamato vero disastro nelle regioni meridionali.
Il processo avviene attraverso due azioni convergenti e sinergiche attuate dalla politica (Partito Unico del Centro-Nord) sotto una precisa e costante pressione del sistema economico nord-italiano. La prima azione si concretizza nei cosiddetti “Piani di riordino sanitario” e la seconda, molto più subdola, si attua attraverso una politica regionale di contenimento e gestione della spesa sanitaria. I Piani di Riordino Sanitario, posti in essere dal Decreto Ministeriale 2 aprile 2015 n. 70 per tutte le regioni italiane, si sono concretizzati in tali draconiani di strutture ospedaliere e di posti letto soprattutto nelle regioni Meridionali.
Comprendere come sia avvenuto questo fenomeno è molto semplice. Basta riferirsi ad una norma della Finanziaria 2008 (Governo Berlusconi) che definiva i criteri per il Patto di stabilità relativamente al bilancio ordinario degli enti locali. Per le Regioni la norma scaricava di fatto sui conti sanitari – maggiore voce di spesa del bilancio regionale – la responsabilità di eventuali violazioni del Patto. Ma come mai questa norma si è dimostrata drammatica soprattutto per le regioni Meridionali? Perché negli ultimi 20 anni le regioni del Sud hanno più volte denunciato una sottostima dei fabbisogni sanitari regionali (LEA), dati peraltro confermati dai rapporti annuali del Ministero della Salute. I criteri di riparto del Fondo sanitario nazionale hanno premiato le regioni del Centro Nord a danno di quelle Meridionali. Ecco che le regioni del Sud hanno dovuto ricorrere a piani disastrosi di rientro dal deficit della spesa sanitaria ed al contemporaneo spostamento del servizio su strutture private.
Guardiamo cosa è accaduto in Puglia, il cui sistema sanitario pubblico da un esempio ed una dimensione ad un fenomeno che interessa l’intero Meridione. Il Piano di riordino sanitario è un lungo processo che parte dal 2002 (si susseguono tre governatori) e ad oggi ha visto su tutto il territorio regionale 22 chiusure di strutture ospedaliere, accorpamenti di ospedali, ridimensionamenti di strutture con chiusura di reparti, una perdita complessiva stimata di circa 2.200 posti letto nonché ricorrenti blocchi delle assunzioni e del turn-over. Nel frattempo, non è stata potenziata la sanità territoriale e nei periodi intensi i pronto soccorso scoppiano e non si trovano posti letto liberi.
Il Piano che ha riequilibrato i bilanci non è stato solo una limitazione degli sprechi, ma molto di più. Ha costituito una carenza di sanità che si è trascinata di anno in anno se è vero che, per corrispondere alle esigenze, si è provveduto da un lato con l'esternalizzazione dei servizi non sanitari (ausiliariato), dall'altro con contratti a tempo determinato, soprattutto per medici e dirigenti tecnico-amministrativi. In più ha alimentato un fenomeno di “migranti della salute” che sposta un fiume di denaro dalla regione meridionale a quelle del CentroNord.
Di pari passo una offerta sempre più consistente di strutture private si sono affacciate e consolidate sul mercato. Secondo una previsione della Cgil Medici Puglia, questo processo arriverà nel 2025, ad avere 21 ospedali pubblici a fronte di 31 strutture private. Accanto a questo, si sta assistendo ad una politica regionale che col dichiarato scopo di contenere la spesa sanitaria, sta attuando una volontà politica che sposta il servizio sanitario, progressivamente e subdolamente, dalla struttura pubblica a quella privata. È una pratica scellerata e miope che sta prendendo piede nelle regioni del Nord (Veneto e Lombardia), ma che già inizia ad attecchire anche nelle regioni del Sud. In pratica è un progressivo spostamento di un grande potere: la salute dei cittadini, nelle mani del capitale privato.
Come avviene questo? Lo si fa un po' alla volta, operando una oculata gestione della spesa. Depotenziando i reparti, facendo finta di non chiuderli. Obbligando i professionisti a pagarsi l'assicurazione da soli, così da tagliare quella spesa. Mantenendo una carenza di organico dove serve. Creando imbuti che impediscono ai laureandi di specializzarsi. Non pagando gli straordinari al personale sanitario e posticipando i pagamenti per acquisti di prestazioni (intramoenia). Richiedendo turni di lavoro pesanti agli addetti sanitari ed emanando direttive per dimezzare il tempo medio di una visita.
Intanto i pazienti sono scontenti, nervosi ed aggressivi con gli operatori sanitari, ricorrono spesso in giudizio contro di loro senza che questi ultimi siano tutelati dall’azienda sanitaria. Le liste di attesa si allungano e la gente ricorre al privato. La Regione fa convenzioni col privato, agevolandolo. I medici hanno più opportunità di trasferirsi nel privato con migliore retribuzione e turni adeguati. È un processo progressivo di “svuotamento” del pubblico e di crescita del privato. Non è una spending review, ma è una scelta politica, una scelta, peraltro, operata surrettiziamente contro la volontà dei cittadini!
Il Movimento M24A Equità Territoriale, denuncia questo fenomeno degenerativo del servizio sanitario pubblico e si adopera con ogni mezzo disponibile per contrastare la sua evoluzione. Promuove un aggiornamento del calcolo dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) per tutte le regioni meridionali. Attiva azioni politiche e giudiziarie per la richiesta di un’equa attribuzione di risorse dal Fondo Sanitario per le regioni meridionali. Promuove il lancio di un grande piano di investimenti nelle regioni del Sud finalizzato al recupero del gap infrastrutturale e per l’incremento della qualità del servizio sanitario offerto.
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