La ministra per il Sud, Mara Carfagna, ha definito la loro attuazione “la madre di tutte le battaglie” ma, in barba a quanto stabilisce la Carta costituzionale, lo Stato italiano non ha mai adempiuto al compito, assegnatogli nel 2001 con la riforma del Titolo V, di determinare i “Livelli Essenziali delle Prestazioni”, i cosiddetti LEP, che garantirebbero una certa uniformità di base ai Servizi pubblici essenziali, dalle Alpi a Pantelleria.
È in virtù di questa diserzione che, lontano dal clamore dei media, per quel che concerne la ripartizione delle risorse a garanzia dell’erogazione di quei Servizi (che ricadono sul livello qualitativo di settori come la sanità, l’istruzione e i trasporti), ci si è regolati riuscendo a determinare, e a favorire, una vera e propria discriminazione territoriale, tessuta con il varo di una serie di norme e procedure "truffaldine" stratificatesi nell’ultimo ventennio.
In un articolo firmato da Marco Esposito e pubblicato sul “Mattino” di ieri l’altro, si è dato conto di qualcuna di queste “regole capestro” con le quali si è, ad esempio, permesso a un bambino di Reggio Emilia di poter godere, accedendo al fondo di solidarietà comunale, delle vacanze estive a spese di tutti gli italiani. Un trattamento negato ai bambini di Reggio Calabria per i quali, disgraziatamente, non è prevista neanche la mensa scolastica ...e di conseguenza neppure il tempo pieno.
Sono meccanismi normativi come quello che dal 2015 determina il fabbisogno standard di tempo pieno scolastico, non ricavandolo dall’esigenza, ma dalla conferma dei servizi che storicamente sono stati erogati. Significa che se in un Comune il servizio non c’è, per la norma, i cittadini di quel comune non ne hanno bisogno. Un po’ la stessa cosa che avviene per il Trasporto Pubblico Locale dei centri popolosi, come quelli dell’area metropolitana di Napoli (per i capoluoghi non più), ai quali è assegnato un fabbisogno pari a zero. Esattamente come quanto accaduto per gli asili nido, la cui gestione è stata sì, parzialmente sanata un paio d’anni fa ma, al gap ancora molto (troppo) ampio tra Nord e Sud, già va ad aggiungersi un trucchetto escogitato a tutto vantaggio delle comunità più ricche per costruirne di nuovi, con l’inserimento di una priorità ai comuni che hanno le risorse per cofinanziare il progetto.
La tela di norme discriminanti per il Sud è fitta, e investe anche il delicato ambito della salute pubblica, tanto che, per la ripartizione del fondo sanitario, l’unico criterio che si è voluto finora tenere in considerazione è quello della quota di popolazione anziana (più alta al Nord). Non sono state, invece, considerate da nessuna norma le condizioni socioeconomiche dei territori, il numero dei familiari, la disoccupazione, le reali entità delle patologie per i diversi livelli di età e neanche la speranza di vita alla nascita (in Campania si muore prima). Tutti criteri che avrebbero favorito il Sud, che invece la Lega Nord ha tentato nuovamente di raggirare un mesetto fa, quando ha provato ad utilizzare i dati 2019 della migrazione sanitaria (alla base di un sistema premiale per i posti letto ospedalieri) invece che, come da prassi, quelli del 2020 fortemente ridotti dall’emergenza Covid-19.
Anche i 4,2 miliardi di ristori stanziati dal governo per i comuni e le comunità montane non sono andati in direzione dell’equità, per come l’intende il giusto, ma ha seguito il criterio della capacità fiscale: di più ai ricchi. E alle più ricche Università del Nord si è garantito un turnover che in molti casi ha permesso non solo di ripianare i pensionamenti con altrettante assunzioni, ma addirittura di accrescere l’organico. Mentre, con il criterio (la scusa) delle tasse d’iscrizione più basse (siamo al Sud effettivamente più poveri), molte di quelle del Mezzogiorno hanno dovuto fare i conti con scarse assunzioni che spesso non hanno coperto nemmeno la metà delle uscite.
Un capitolo a parte meriterebbe la questione della politica (dis)fatta con i bonus, dei quali in Italia si è profusamente abusato, nonostante siano stati ampiamente dimostrati gli effetti distorsivi che operano al contrario dell’auspicabile. Spesso ampliando le disuguaglianze Nord-Sud, come è per il “Super-Cashback”, per il “Bonus mobilità” e anche per l’“Art-Bonus” con cui lo Stato rinuncia ad incassare, incentivando una raccolta di fondi che finiscono poi per il 97% al CentroNord e per appena il 3% al Sud.
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