di Luca Lozupone
“La decisione di realizzare un’acquisizione resta sempre del vertice delle banche, la Vigilanza non può imporla”.
È quanto affermato dalla vicedirettrice della Banca d’Italia Alessandra Perrazzelli, nel corso di un’audizione alla Camera dei Deputati il 9 gennaio 2020. Intercettazioni telefoniche e l’analisi dei fatti raccontano però una storia diversa.
La domanda era il perchè Banca d’Italia avesse autorizzato alla Banca Popolare di Bari (BPB) di acquisire la Cassa di Risparmio di Teramo, mossa che provocherà la crisi irreversibile della banca pugliese. Non è la prima volta che Banca d’Italia finisce sul tavolo degli imputati in merito alla carente vigilanza bancaria negli ultimi anni. Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza e Monte dei Paschi di Siena sono gli esempi più lampanti. Si ricorda che, con l’introduzione dell’Euro, la Vigilanza bancaria è l’unico compito rimasto in capo a Banca d’Italia.
La Popolare di Bari è stata una banca guidata, fin dalla sua fondazione nel 1960, dalla famiglia Jacobini e gestita secondo il modello di impresa familiare. Nel corso degli anni aveva accresciuto la propria penetrazione commerciale espandendosi in Italia meridionale e centrale anche grazie all’acquisizione di piccole banche locali e di sportelli di altre banche.
Nell’aprile 2009, però, dopo che BPB acquisisce la Cassa di Risparmio di Orvieto la Banca d’Italia le richiede di astenersi da iniziative di ulteriore sviluppo. La ragione è che deve irrobustire il proprio assetto organizzativo e di controllo. O forse non si vuole una banca meridionale indipendente ed attiva che faccia concorrenza ai giganti tosco-padani.
È proprio per venire incontro ai rilievi della Vigilanza che nel luglio 2013 viene nominato Luca Sabetta Chief Risk Officer con il compito di verificare, ed in caso bloccare, tutte le operazioni della Banca. A novembre di quell’anno si verifica un evento che avrebbe cambiato per sempre la storia della Popolare: subentra infatti ad un prestito di 480 milioni di euro che la Banca d’Italia aveva concesso alla Cassa di Risparmio di Teramo (Tercas), la quale non era in condizioni ottimali essendo in amministrazione straordinaria (l’anticamera del fallimento) da 18 mesi. In pratica Tercas non sarebbe mai stata in grado di ripagare il prestito di quasi mezzo miliardo di euro e l’intera operazione appariva da subito come un favore di BPB a Banca d’Italia.
BANCA D’ITALIA BLOCCA L’ESPANSIONE DELLA POPOLARE BARI. ANZI NO, PER TERCAS SI PUÒ FARE UN’ECCEZIONE
La cosa stranissima ed inquietante è che BPB continua ad avere il vincolo alla non espansione da parte della Vigilanza. Infatti per effetto di questo stesso vincolo non ebbero esito un suo progetto di integrazione con un’altra popolare nel 2010 e l’acquisizione di una partecipazione qualificata in una finanziaria nel 2011 (fonte: Banca d’Italia – Domande e risposte sulla crisi della Banca Popolare di Bari).
Quindi integrazione con un’altra banca popolare no, acquisizione di una banca in amministrazione straordinaria, prossima al fallimento, sì. Stranissimo ed inquietante.
“La decisione di realizzare un’acquisizione resta sempre del vertice delle banche, la Vigilanza non può imporla” raccontava in sede istituzionale l’alta dirigente di Banca d’Italia Alessandra Perrazzelli. Non sembra questo il caso.
Le condizioni contabili e patrimoniali di Tercas appaiono subito drammatiche. “Abbiamo cominciato a ricevere dei rapporti riservati sulla situazione di questa banca [Tercas] perché quello che trovo qui è una situazione drammatica. Questi vanno cacciati tutti” disse l’allora amministratore delegato Vincenzo De Bustis al c.r.o. Sabetta riferendosi ai dirigenti della banca abruzzese.
Il 25 novembre 2013 Sabetta riceve una presentazione in power point sulla situazione di Tercas in cui spiccano i 3,46 miliardi di euro di crediti deteriorati. La posizione di Sabetta, in qualità di capo del rischio, è quella di non approvare l’aquisizione. La BPB non hai i mezzi per integrare una Banca così problematica. Ma qui avviene il colpo di scena. Il 13 dicembre del 2013, infatti, De Bustis convoca Sabetta dicendogli che il Responsabile del Dipartimento di Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, ravvisava un conflitto di interessi tra Sabetta e egli stesso poiché Sabetta e De Bustis avevano lavorato insieme in altre banche (Banca del Salento-Banca 121 e Monte dei Paschi di Siena). Barbagallo indicava quindi la necessità di una immediata risoluzione del conflitto di interessi.
Sabetta aveva effettivamente lavorato con De Bustis, ma dodici anni prima ed in contesti diversi. Secondo un’intercettazione telefonica della Procura della Repubblica di Bari pubblicata sul sito fanpage.it sempre quel 13 dicembre De Bustis dice a Sabetta: “No, no, mo’ prima devo dire ‘sta cosa a te. No, in questa circostanza c’è un po’ di protezione in Banca d’Italia, no? Però non voglio creare casini a loro con... per un... proprio quisquilia, capito?”
Ora sappiamo che De Bustis considera 4,36 miliardi di crediti deteriorati “quisquilia” e che Banca d’Italia guida l’operazione.
Presumibilmente l’obiettivo della Vigilanza e del Governo era quello di costringere BPB a trasformarsi in società per azioni, azzerando il capitale dei soci dei soci, così come abbiamo visto nella distruzione del Banco di Napoli e Banca di Sicilia, per poi regalarla ad un gruppo bancario “nazionale” cioè tosco-padano. Piano che si sta velocemente realizzando.
Quindi, senza Sabetta, l’acquisizione di Tercas può procedere spedita. Nel luglio 2014 Banca d’Italia autorizza l’operazione con un contributo di 330 milioni di euro del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, comunque insufficienti rispetto alla mole dei crediti deteriorati. Dobbiamo aspettare però il luglio 2016 affinché l’operazione vada in porto a causa della cattiva abitudine del governo italiano di concedere aiuti senza la preventiva autorizzazione della Commissione Europea. Infatti i 330 milioni di Euro erano stati considerati “aiuti di Stato” e pertanto bloccati.
Con l’acquisizione di Tercas la situazione di BPB diventa sempre più preoccupante. Gli NPL (non performing loans) passano dal 14,8 al 21,8 percento nel corso del solo 2014 (fonte: Banca d’Italia). Anche l’aumento di capitale per 553 milioni di euro (fonte: Banca d’Italia) effettuato nel biennio 2014-2015 tra nuove azioni e emissioni di obbligazioni subordinate, il cui valore è andato ora distrutto, non saranno sufficienti a puntellare il capitale. Si tratta di sottoscrizione di capitale di rischio e di strumenti finanziari ibridi (cioè che in caso di neccessità l’emittente può trasformarli da debito in capitale) da parte di ignari correntisti che vi investivano i risparmi di una vita. Colpisce, anche in questo caso, l’assordante silenzio della Vigilanza.
I PROBLEMI AUMENTANO
I revisori contabili (almeno loro) iniziano a mettere in risalto le criticità della Popolare. Nella relazione al bilancio del 2017, il primo che consolida le poste di Tercas, PwC riporta una sezione sugli “aspetti chiave della revisione contabile”. In essa vengono fatte minuziose considerazioni sulla valutazione dei crediti verso la clientela, recuperabilità delle imposte anticipate, riduzione di valore degli avviamenti. La relazione scrive anche dell’esplicita responsabilità degli amministratori per la valutazione dell’utilizzo del presupposto della continuità aziendale. È un vero e proprio campanello d’allarme. Probabilmente PwC lo fa anche per difendersi.
Carmelo Barbagallo, il capo della Vigilanza tanto solerte nell’estromettere Sabella (“per conflitto di interessi”) che aveva ravvisato criticità nell’acquisizione di Tercas, tace. Tace l’intera Banca d’Italia, guidata da Ignazio Visco, che pure ha come unico compito quello della Vigilanza bancaria. Anzi alla fine del 2017 a Visco viene rinnovato dal governo Gentiloni il mandato della durata di sei anni di Governatore della Banca d’Italia. Evidentemente la bravura non passa inosservata.
Banca d’Italia continua a non far pervenire segni di vita neanche quando il bilancio 2018 della Popolare registra una perdita record di 420 milioni di euro e PwC nella sua relazione al bilancio scrive di “incertezza significativa relativa alla continuità aziendale” e che “gli amministratori ritengono di poter confermare la sussistenza della continuità aziendale”. Seguono, come per il 2017, pagine intere relative alle “procedure di revisione in risposta agli aspetti chiave”, in cui PwC elenca tutti i controlli effettuati sulle poste contabili maggiormente critiche. Il revisore elenca i controlli effettuati per difendersi nel caso di problemi, ritenuti evidentemente imminenti. Infatti al revisore spettano i controlli, ma è la Vigilanza che deve prendere decisioni sulla base di quegli stessi controlli. Infatti Banca d’Italia ha dal 2015 il potere di rimuovere i vertici di BPB (art. 53-bis, comma 1, lett. e) del Testo Unico Bancario). Questo potere può essere esercitato anche nei confronti di esponenti che soddisfino i requisiti di idoneità previsti dalla normativa (art. 26 del TUB), ma che evidentemente non sono dei validi amministratori.
Nel silenzio di Banca d’Italia De Bustis, che aveva lasciato BPB nel 2015, incredibilmente vi ritorna alla fine del 2018 come amministratore delegato. Carica che viene confermata nel luglio 2019. Nel frattempo il dissesto della Popolare aveva attirato l’attenzione della Procura della Repubblica di Bari che apre un fascicolo.
Nel luglio 2019 il presidente Jacobini si dimette, ma a sostituirlo è il nipote Gianvito Giannelli. Secondo l’audio pubblicato su fanpage.it è proprio Giannelli che ancora il 10 dicembre 2019 (a pochi giorni dal commissariamento della Popolare) tranquillizza dirigenti e dipendenti spiegando che non c’è da temere il commissariamento perché “ci appoggia il mondo politico, e ci appoggia anche la Vigilanza”. Ottimismo condiviso da De Bustis che anche lui fatica a comprendere il non interventismo di Banca d’Italia. Infatti interviene a quella stessa assemblea dicendo: “Bontà loro, e per ragioni strategiche altissime, qualcuno ha deciso che la Banca debba sopravvivere”.
EPILOGO
Il 13 dicembre 2019 arriva infine quello che molti temevano: la BPB entra in una irreversibile crisi di liquidità e pertanto viene commissariata da Banca d’Italia con la nomina di Enrico Ajello e Antonio Blandini commissari straordinari.
Nel salvataggio interviene il Fondo interbancario di tutela dei depositi per 1,17 miliardi di euro e Mediocredito Centrale (Mcc, di proprietà del Ministero dell’Economia e Finanze attraverso Invitalia) per 430 milioni di euro. Il buco provocato dalla Popolare di Bari ammonta quindi a 1,6 miliardi di euro. Il Fitd, dopo aver ripianato le perdite e ricostruito il capitale, cederà le azioni a Mcc al prezzo di un euro. Mcc avrà alla fine il 97% del capitale mentre il 3% rimanente è stato assegnato agli attuali soci.
Il 29 giugno 2020 l’assemblea straordinaria della Banca ha approvato l’aumento di capitale e la sua trasformazione in SpA, probabilmente fin dall’inizio vero obiettivo dell’operazione Tercas. Infatti in una SpA gli azionisti non possono opporsi all’ingresso di nuovi investitori, e la Banca diventa quindi contendibile.
Nel giro di 18 mesi la ex-BPB, risanata e dotata di capitali freschi, si teme, sarà pronta per essere consegnata ad un gruppo bancario dell’asse Toscana Nord-Ovest.
ANALOGIE TRA BANCO DI NAPOLI, BANCA DI SICILIA E POPOLARE BARI
La fine del Banco di Napoli, Banca di Sicilia e Banca Popolare di Bari presenta delle caratteristiche comuni che possono essere riassunte qui di seguito:
- Induzione da parte di Banca d’Italia di una banca di medie dimensioni verso scelte strategiche sbagliate (acquisizione di Sicilcassa per Banca di Sicilia e Tercas per la Popolare di Bari mentre per il Banco di Napoli si passa direttamente al punto successivo);
- Azzeramento del valore delle azioni di soci o azionisti;
- Iniezione di denaro pubblico (attraverso il Fitd, Mcc o Mef);
- Svendita della Banca meridionale ora risanata e ricapitalizzata ad un gruppo bancario dell’area Toscana Nord-Ovest (Banco di Napoli a Bnl prima Banca Intesa poi, Banca di Sicilia a Unicredit, Banca Popolare di Bari a Monte dei Paschi di Siena?).
CONSIDERAZIONI FINALI
Notizie di questi giorni danno già adesso un’indicazione della strada che la ex Popolare seguirà nei prossimi mesi ed anni. Infatti il 15 settembre 2020 l’azionista statale Mcc ha nominato il bolognese Giampiero Bergami direttore generale. Bergami è stato fino all’agosto scorso vicedirettore di Banca Monte dei Paschi di Siena e proprio nel 2021 lo Stato (rappresentato dal Mef che ora ne detiene il 68%) dovrà uscire dal capitale della Banca senese, secondo gli accordi dell’Italia con la Commissione Europea.
È naturale quindi pensare che la ex-Popolare, risanata e ricapitalizzata con soldi pubblici, e cioè di tutti, sarà svenduta a Mps, una banca moribonda e dissestata, caratterizzata da innumerevoli problemi di carattere gestionale, finanziario ed esistenziale.
A chi sta a cuore Bari, la Puglia ed il Sud Italia non può e non deve rassegnarsi alla perdita di una Banca che è parte integrante del nostro territorio, della nostra vita e del nostro successo. La ex-Popolare di Bari deve avere la possibilità di restare indipendente e di contribuire al progresso economico dei territori in cui opera. Stupiscono il silenzio del sindaco di Bari Antonio Decaro, del presidente di regione Michele Emiliano, quasi che la Banca Popolare di Bari non faccia parte della nostra terra, del nostro lavoro e delle nostre aspirazioni.
Vorrei che questo articolo abbia la più ampia risonanza possibile e che tutti noi facessimo qualcosa, per esempio contattando i parlamentari che ci rappresentano (di tutti i partiti e di tutti gli schieramenti) che hanno il potere di bloccare l’ennesimo furto bancario ai danni di una parte del Paese. Vorrei che a questa battaglia di civiltà si unissero i nostri amici veneti, a cui hanno sottratto nel corso degli anni Banca Antonveneta, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, secondo dinamiche già viste in questa ed in altre sedi.
Siamo in tanti ma non lo sappiamo.
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