di Rosanna Sebastiani
C’eravamo riusciti a tenerlo fuori questo maledetto virus, con la prudenza, il senso civico, ogni genere di precauzioni; siamo andati a riprenderci i figli fuori sede con mezzi propri e chi era rientrato da zone infette si era auto isolato e dichiarato alle autorità sanitarie… tutto bene, sembrava davvero una zona bianca, quasi che la miseria, avesse indotto anche COVID-19 ad abbandonarla come fanno i tanti giovani da anni.
Poi è arrivato il momento della “solidarietà”, la ricca ed efficiente regione messa in ginocchio dal proprio ego economico ha bisogno di svuotare le proprie strutture per reperire posti letto ed inizia a smistare in giro pazienti degenti in reparti non infettivi di ospedali e quelli in cliniche riabilitative.
Trattandosi di solidarietà ci si aspetterebbe che prima del trasferimento, si adottasse il minimo sindacale delle precauzioni, il tampone sui pazienti da trasferire, e invece…
Invece accade che in una clinica riabilitativa (privata), si accettano due pazienti provenienti da Brescia, già, quella città che già sapeva di essere infetta già dall’esplodere del virus a Codogno ma che era andata avanti nelle sue attività incurante dei rischi, perché il business viene prima di ogni cosa, la città dove i morti vengono caricati in massa sui camion dell’esercito e smaltiti fuori regione, la città dove il virus ha ricordato una guerra, dicevamo quindi, provenienti da Brescia senza alcuna verifica delle condizioni; i medici chiedono alla direzione che i pazienti vengano sottoposti al tampone, ma la direzione non lo ritiene necessario, non hanno febbre e questo per loro basta, perché la parola “asintomatico” non esiste nel loro dizionario di manager, sono pazienti per il quale la ricca regione padana “paga” più del dovuto e fare i tamponi costa e “but it takes money to run a business” si buttano dentro il reparto, in mezzo ad altri pazienti, a personale non protetto (le mascherine spaventano i degenti) e che viene fatto circolare per esigenze lavorative da un reparto all’altro. Nel frattempo la direzione, vista la redditività della cosa, appronta un intero piano per accogliere un invio più corposo di pazienti (cosa che ancora avviene).
Passano pochissimi giorni e la prima infermiera accusa sintomi influenzali e si congeda per malattia.
Nel frattempo nella degente si manifesta un problema fisico di altra natura e viene trasportata nel locale ospedale senza che nessuno informi o inviti alla prudenza, nel frattempo ci sono state persone che erano andate ad assistere i propri cari in clinica, poi magari sono andate a fare le minime cose consentite dalle restrizioni, spesa alimentare, farmacia, magari essi stessi sono dei lavoratori dei settori strategici, e portano a spasso il veleno, lo trasmettono, e poche ore dopo l’annuncio della positività dell’operatrice sanitaria ecco che viene “annunciato” il secondo contagio che si manifesta nella figura di un operaio che con la struttura ospitante non ha nulla a che vedere; qualche ora più tardi alla prima infermiera viene diagnosticata una polmonite bilaterale, e sia lei che i genitori con cui vive, sono stati sottoposti a controlli, nelle stesse ore “si scopre” che una delle due pazienti trasferite, è affetta da medesima patologia… una macchia d’olio nell’acqua limpida che si propaga velocemente.
Adesso in tanti ci stiamo chiedendo se il nostro raffreddore sia dovuto al brusco calo delle temperature unite alla neve marzolina, o se è altro… siamo in preda all’angoscia, noi, che siamo stati così ligi attenti, che non abbiamo stretto mani, ma magari con il carrello della spesa ci siamo incrociati nel corridoio del market durante la spesa settimanale, che abbiamo respirato la stessa aria in farmacia, in posta, in banca; ci stiamo chiedendo “perché”, ci stiamo chiedendo che razza di solidarietà sia quella che ci impone di accollarci la malattia senza avere difese (la nostra sanità non è in ginocchio, ma senza gambe), con quale coraggio una regione che con i suoi comportamenti scellerati e reiterati (la provocata fuga verso sud), unica a possedere e disporre di protocolli di controllo, li utilizza solo per gli stanziali in regione e non per chi manda nelle nostre strutture?
La solidarietà è una forma di impegno etico-sociale a favore di altri, ovvero un atteggiamento di benevolenza e comprensione che si manifesta fino al punto di esprimersi in uno sforzo attivo e gratuito, teso a venire incontro alle esigenze e ai disagi di qualcuno che abbia bisogno di un aiuto, una cosa preziosa quindi, che la mia terra e la mia gente ha sempre dispensato con trasporto, ma per ottenere solidarietà occorre rispetto per le vite altrui, e da quanto ho raccontato, questo è mancato in modo palesemente fraudolento, quindi, una solidarietà avvelenata.
Che Dio, o chi per lui, ci assista. La solidarietà avvelenata
Leave a Reply