di Matteo Notarangelo*
La vecchiaia non è una malattia. “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Non vogliamo che le residenze sanitarie assistite diventino i nuovi manicomi e gli anziani i nuovi internati.
In questi giorni, la pandemia narra altro.
Il Covid 19 ha svelato i misteri assistenziali e sanitari delle “nuove” istituzioni totali post-manicomiali per anziani, le Rsa e le Case di cura di riposo.
L'Istituto Superiore di Sanità ha scritto che “in circa mille RSA italiane dal 1° febbraio alla metà di aprile sono stati 2.724 decessi dovuti al Covid (364) oppure a sintomi simil-funzionali (2.360) che fanno pensare comunque al coronavirus”. Le morti degli anziani non autosufficienti sono state 6.773, quelle provocate dalla pandemia potrebbero essere il 40%. Sono dati che si richiamano a un campione di 1.082 strutture per anziani, il 33% di quelle contattate, rispetto alle 4.630 operanti su tutto il territorio nazionale. A questo numero, c'è da aggiungere quello delle tantissime Case di Riposo.
Nelle nuove istituzioni totali per anziani si è consumato una “strage” di donne e uomini fragili, silenziosi, senza parola e senza diritti. Il silenzio condiviso e la subordinazione degli operatori alla logica del profitto hanno compromesso la dignità e l'amore per coloro che vorrebbero concludere la vita con dignità. Si avverte tra i familiari, ma anche tra chi lavora in questi non luoghi, la voglia di svelare i giochi delle fredde pratiche di cura e di lucro che, se taciuti, rischiano di soffocare la flebile voce delle persone fragili, finite dentro il circuito, indifferente, delle RSA, nuove istituzioni totali. E sono tanti gli anziani che dal mondo segregante dell' internamento “volontario” scrivono ai propri cari.
Un grido di aiuto, il loro, che non può essere ascoltato dai figli che vivono in solitudine la loro vita quotidiana. Ma la sofferenza, scritta e denunciata dagli anziani internati, non può restare inascoltata. Qualcuno deve pure cercare di aprire la porta delle RSA per guardare dentro e liberare l'anziano legato, sedato, sottomesso alle logiche del profitto ingiusto dei gestori. Qualcuno deve pur avere il coraggio di leggere le lettere dell'anziano che ha scritto: “In questo ospizio mancano i sorrisi (…) Qui manca la cosa più importante, la vostra carezza. (...) Non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine… In questi mesi mi sono anche chiesto più volte: ma quelli perché hanno scelto questo lavoro se poi sono sempre nervosi, scorbutici e cattivi?”.
È evidente, quindi, che in questo tempo e a questi esseri umani non servono discorsi consolatori, ma la forza di togliere legittimità alle istituzioni di riposo e di cura troppo simili ai vecchi manicomi. Prigioni dorate che segnano gli ultimi anni di vita di padri e di nonni strappati ai loro cari da un mercato senza regole.
Ci sono altre soluzioni. Ci sono pratiche umane che non considerano gli anziani "numeri", costretti a condividere quel che resta della vita con centinaia di persone sole e abbandonate come loro. Quelle soluzione sono i modelli socioassistenziali umani, leggeri, che valorizzano la persona anziana e il suo mondo di affetti e di conoscenze.
Quei modelli, umani e leggeri, possono diventare realtà, basta arginare, respingere e annientare la violenza legislativa dei 21 consigli regionali, troppo piegata a salvaguardare il profitto ingiusto delle città dei vecchi.
La logica concentrazionaria dei grandi numeri da internare in disumani strutture-prigioni, doppio volto dell'assistenza agli anziani, è stata pianificata dalle istituzioni politiche con regolamenti regionali. La fonte giuridica dei neomanicomi devastanti per l'uomo, per le persone fragili, per l'umanità sono i regolamenti regionali, che trasudano oro colato per il mercato, per il profitto, per le clientele, per gli sprechi.
Una normativa, quella regionale, voluta da politici, che non osa “inventare" le buone pratiche assistenziale, che non invita ad affrontare un viaggio aperto, libero dai mille condizionamenti, che, ogni anno, sperpera 13 miliardi di euro e scoraggia l'assistenza leggera, di qualità, delle piccole residenze protette.
“Il vero viaggio di scoperta -scriveva Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto- non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi”.
E con nuovi occhi Margherita Hack scriveva: “Molti di questi vecchi passano i loro ultimi anni in case di riposo, passando dal letto a una sedia e dalla sedia al letto, lontani dalla loro casa, senza più un'attività che li interessi. Quando le loro condizioni lo permettono sarebbe preferibile mandarli a casa, dove di solito ritrovano qualche interesse e voglia di vivere. Forse le case di riposo dovrebbero essere a voglia di vivere. Forse le case di riposo dovrebbero essere strutturate in piccole comunità di 4 o 5 anziani e un assistente, cosi da creare un ambiente familiare”.
Questo monito dovrebbe far pensare ai legislatori nazionali, regionali e comunali che le case di riposo e le RSA sono istituzioni totali, un misto di segregazione e assistenza, da reinventare. Per dirla in modo diverso, l'esistenza stessa delle affollate strutture sociosanitarie dovrebbe costituire uno scandalo. Purtroppo, direbbe lo psichiatra Agostino Pirella, lo scandalo diventano la libertà e la solidarietà.
Questa crisi pandemica ha svelato la sua verità: le RSA e le Case di riposo, cosi come sono, si mostrano come contenitori affollati di fragilità umana ingestibili, inquietanti e focolai di contagi.
E' questa strutturazione sociosanitaria la fonte della violenza istituzionale, esercitata contro chi non è più in grado di difendersi.
In nome dell'istituzione che non cura, sono gli anziani, gli ultimi, i più deboli, lo scarto a dover accettare, “nella prigione dorata”, una sofferenza psicologica e psichiatrica, cosi forte, invadente da spegnere gli sguardi e i sorrisi. “Da questo letto senza cuore scelgo di scriverevi miei figli e nipoti. Comprendo di non avere più tanti giorni, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna ricevuta da una giovane donna … E' l'unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso ma da quanto porta la mascherina riesco solo a intravedere un po' di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano”.
Questo è quanto scrive un indifeso e rassegnato avvocato di 84 anni. Ma chi è disposto ad accogliere il suo messaggio?
La vecchiaia, gestita male nei gradi contenitori disumanizzati totali per anziani, disabili fisici, psichici, sensoriali, rischia di diventare una condanna a morte, che conduce a una strage collettiva annunciata di innocenti.
È risaputo, la perdita della propria casa uccide l'anziano.
Allora, può bastare la psichiatria, una diagnosi psichiatrica per giustificare l'internamento e l'assassinio sociale di un familiare anziano?
La ragione umana, continua a mostrare che le RSA e le Case di riposo svolgono le funzioni di controllo e di custodia del vecchio manicomio.
È stato smontato il vecchio manicomio, si possono smontare le nuove istituzioni totali.
Liberare l' anziano è l'unico modo per ridargli la voglia di vivere, anche con le sue fragilità.
C'è un modo diverso per lasciar vivere i padri i nonni: le case protette leggere.
*Sociologo e counselor professionale.
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