LIMES: "IL CREPUSCOLO DEL MEZZOGIORNO SPACCA L’ITALIA". Secondo la rivista di geopolitica "il ripido declino del Sud, accentuato dal Covid-19, si riflette sulla tenuta dell’intero paese"

LIMES: "IL CREPUSCOLO DEL MEZZOGIORNO SPACCA L’ITALIA". Secondo la rivista di geopolitica "il ripido declino del Sud, accentuato dal Covid-19, si riflette sulla tenuta dell’intero paese"

LIMES: “IL CREPUSCOLO DEL MEZZOGIORNO SPACCA L’ITALIA”. Secondo la rivista di geopolitica “il ripido declino del Sud, accentuato dal Covid-19, si riflette sulla tenuta dell’intero paese”

IL CREPUSCOLO DEL MEZZOGIORNO SPACCA L’ITALIA
Il ripido declino del nostro Sud, accentuato dal Covid-19, si riflette sulla tenuta dell’intero paese.

Il Sud muore. Non è il Covid-19. È un’agonia molto più lenta e diffusa che ne corrode la fibra demografica, economica, sociale”. E’ questo l’incipit della drammatica analisi operata da Fabrizio Maronta sul numero di marzo del mensile “Limes – rivista italiana di geopolitica” edito dal gruppo GEDI. Una narrazione, fondata su solidi dati numerici, realmente da tregenda da cui emerge un dato che, anche oggi, si finge di ignorare: se affoga il Meridione (e sta affogando) si trascina giù tutto il Paese

Maronta ricorda che, con un’economia cresciuta in Italia la metà (4,6%) rispetto alla media europea (9,3%) le ferite inferte dalla recessione del 2008-09 e dalla «ricaduta» del 2011-12 non sono state sanate. Alla vigilia del Covid-19, il nostro pil era ancora quattro punti inferiore al 2008”. Eppure “il dato nazionale, di per sé avvilente, è una media di Trilussa che ingentilisce la deriva del Sud. Tra il 2008 e il 2011 il pil aggregato delle regioni meridionali è crollato del 7,1%, contro il 3% scarso del Centro-Nord; i consumi del 5,7%, rispetto al +0,5% del resto del paes; gli investimenti sono sprofondati di un quinto, rispetto al -12% del Centro-Nord. L’asimmetria dello shock si è poi cristallizzata nel triennio successivo (2012-14), che ha visto l’economia del Mezzogiorno decrescere del 5,9% contro il -4,4% del Centro-Nord; successivamente (2015-18) il pil meridionale è rimbalzato del 2,5%, mentre il resto del paese cresceva di oltre il 5% . La ripresa degli investimenti privati attesta che c’è vita industriale al Sud, ma troppo flebile per trainare la ripresa in assenza di investimenti pubblici. Scarsi ovunque, questi si sono pressoché azzerati nel Mezzogiorno dopo la fine dell’intervento straordinario e l’avvento dell’austerità contabile, che ha colpito soprattutto i paesi più indebitati”

Dati tremendi, che non risparmiano alcun settore produttivo meridionale: L’industria meridionale non si è mai ripresa dai colpi subiti tra il 2008 e il 2014. Fatto cento il capitale industriale del 2000, nel 2018 esso era pari a 126 nel Centro-Nord e a 102 nel Sud” Mentre nel terziario “quello a più rapida crescita nel Mezzogiorno è stato il turismo (oggi falcidiato; ma non ne parla nessuno,a differenza di Venezia, Firenze o delle stazioni sciistiche alpine ndr), mentre nel Centro-Nord l’exploit si è avuto nel terziario avanzato: intermediazione finanziaria e immobiliare, servizi alle imprese. E nemmeno la terra, grande risorsa del Sud, offre un rifugio sicuro. Dal 2008 l’agricoltura italiana, ma soprattutto quella meridionale, è al palo. Nel 2019 il valore aggiunto del settore nel Mezzogiorno era al -7% rispetto al 2008. A Centro-Nord la dinamica dei prezzi ha quasi compensato l’ammanco produttivo, al Sud no. Di contro, nell’ultimo decennio l’industria alimentare (di trasformazione) ha aumentato di un quinto il suo valore aggiunto a livello nazionale, ma il Mezzogiorno vi svolge un ruolo minoritario: solo il 22% del valore e il 16,5% dell’export totali.”

La conseguenza è un ulteriore allargamento del divario Nord-Sud. “Nel 2019 il pil per abitante nel Mezzogiorno non superava il 55% di quello del Centro-Nord; prima dell’ultima crisi era il 57%.” In termini di ricchezza sembrano due paesi diversi.

E, in tutto questo, arriva la pandemia: “Il coronavirus, dunque, non ha «inventato» un nuovo Mezzogiorno” – scrive Maronta - Ha enfatizzato, accelerandole, tendenze preesistenti, colpevolmente trascurate. Più difficili da invertire ora che la pioggia di questa epidemia cade, abbondante, sul bagnato. Il virus ha acuito sperequazioni sociali e territoriali, sicché la crisi occupazionale da esso indotta si è scaricata in primo luogo sui più deboli: giovani, donne, Meridione.”

Cresce così il già ampio divario con i paesi più sviluppati dell’Unione Europea. E anche qui è chiaro chi ne paga il prezzo maggiore: “se il tasso di occupazione dell’Italia (59%) fosse uguale alla media Ue-15 (68,8%), oggi avremmo circa 3,7 milioni di occupati in più. Ma siccome nel 2019 gli occupati al Centro-Nord erano il 66,6% contro il 45% scarso del Sud, il nostro ammanco occupazionale è dovuto quasi interamente al Mezzogiorno: 3,2 milioni su 3,7.”

In un circolo vizioso, desertificazione economica e sofferenza sociale si alimentano. Si pensi al tasso di dispersione scolastica (17% al sud, 12% resto d’Italia). A livello demografico, poi, la spia è ormai accesa da tempo: la popolazione italiana ha smesso di crescere, soprattutto, al Sud con un crollo enorme in particolare dal 2011. “Nel 2065 gli anziani saranno oltre un terzo dei residenti e la popolazione italiana si ridurrà di quasi sette milioni di persone, di cui cinque al Sud”, prosegue Maronta, e dal 2000 la popolazione autoctona meridionale è calata di circa 777 mila unità, al Nord di appena 15 mila. Ciò palesa il ruolo determinante delle migrazioni: in vent’anni il Centro-Nord ha perso molti meno autoctoni e acquisito molti più immigrati”, dall’estero e dallo stesso Sud: solo negli ultimi vent’anni, oltre due milioni di persone – il 50% tra 15 e 34 anni, di cui il 20% laureate – hanno lasciato la propria terra dirette verso il Centro-Nord o l’estero.

Per il Mezzogiorno interno e appenninico, poi, è un vero disastro antropologico: “il conseguente spopolamento, privato di vasti segmenti della forza lavoro, minaccia di ampliarne ancora il divario di reddito con il Nord: dall’attuale 55% circa a oltre il 74% nei prossimi quarant’anni.”

Le conclusioni di Maronta chiarificano però come stanno realmente le cose per l’intero Paese e in quali direzioni si debba intervenire per porre rimedio: “Il crescente divario Nord-Sud non deve però ingannare, inducendo un illusorio ed egoistico sollievo nei salvati. Il Meridione è specchio del paese più di quanto sembri, perché in parte ne anticipa, magnificandole, tendenze generali. Presa nel suo insieme, l’Italia rischia di approdare al dopo-epidemia in una condizione non troppo dissimile da quella del 1861: con un Nord e un Sud «diversamente deboli» rispetto al resto d’Europa. Specie a Francia e Germania, nostro primo orizzonte strategico e pietra di paragone nella Ue. Un’Italia fiaccata dall’erosione delle basi socioeconomiche, istituzionali e geopolitiche del proprio benessere. Nel contesto dei forti, ulteriori danni all’apparato produttivo inflitti dal coronavirus, è lecito attendersi un attivismo della criminalità organizzata volto ad aggredire i comparti dell’economia legale infragiliti dalla carenza di liquidità, nonché a intercettare gli ingenti flussi di denaro liberati (si spera) dal Recovery Fund. Estorsioni, usura, corruzione – reati endemici in diverse aree del Sud già prima dell’epidemia – sono le spie su cui più si concentrerà l’attenzione delle forze dell’ordine. Ma la sola repressione potrà poco senza un nuovo, duraturo sforzo del paese volto a scardinare i circoli viziosi che ne avviluppano (soprattutto) il Meridione in un potente gorgo. Non è allarmismo. È un allarme.”

[Immagine tratta da https://www.limesonline.com/cartaceo/il-crepuscolo-del-mezzogiorno-spacca-litalia?prv=true dove è possibile acquistare e leggere l'intero articolo, di cui il presente compendio rappresenta solo un piccolo estratto]

Antonio Picariello

Antonio Picariello

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