di Roberto Cantoni
Allungalista di paesi da cui lo Stato italiano importa energie fossili potrebbe aggiungersi tra qualche tempo Israele. È infatti in progetto un gasdotto, l’EastMed, dai giacimenti offshore israeliani verso l’Europa, attraverso l’Italia e la Grecia. Se ne è avuta notizia qualche giorno fa, quando Israele, Cipro e Grecia sono arrivati a un accordo per la costruzione di EastMed. C’è chi si felicita della buona riuscita del progetto, come il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha anche firmato, qualche giorno prima dell’annuncio dell’accordo trilaterale, una legge a sostegno del ‘dialogo trilaterale su energia, sicurezza marittima, cybersicurezza e protezione di infrastrutture critiche tra i tre paesi. Inutile chiedersi il motivo per cui gli Stati Uniti avrebbero interesse a proteggere un’infrastruttura che non li riguarda direttamente, ma che coinvolge un loro storico protégé, Israele.
I telegiornali italiani hanno riportato la notizia con enfasi, sostenendo che l’accordo porterà a una ulteriore diversificazione delle forniture di gas per l’Italia, che importa la maggior parte del suo gas da Russia e Algeria, due stati con gravi deficit democratici, coi quali l’Italia non ha mai lesinato accordi in passato. È cosa nota, del resto, che in politica la democrazia di un paese conta soltanto finché fa comodo. Tutti contenti, quindi? Non tanto. In realtà, a guardarlo bene, tale gasdotto è una bomba a orologeria in pieno Mediterraneo, per diverse ragioni.
In primo luogo, perché renderebbe lo Stato italiano (e molti altri stati europei) dipendenti da uno paese che ha una lunga storia di oppressione dei popoli che vivono nelle terre circostanti. In secondo luogo, perché, stante la crisi ecologica, puntare su maggiori forniture di gas invece di potenziare le fonti rinnovabili è un suicidio ecosistemico. Si usa spesso l’argomentazione che il gas è comunque meno inquinante del petrolio o carbone, ma in realtà i tre combustibili sono usati per scopi diversi in Italia: di conseguenza, un maggior uso di gas non influisce sul consumo di petrolio (quanto al carbone, l’Italia ne è sempre stata povera e ne ha sempre fatto un uso molto ridotto).
In terzo luogo, l’accordo sull’EastMed è pericoloso per gli equilibri mediterranei perché rischia di riacutizzare il contenzioso greco-turco a Cipro. La Turchia, che occupa la zona nord di Cipro da oltre quarant’anni contro ogni trattato internazionale, minaccia di fare la voce grossa nel Mediterraneo in caso sia bypassata dal gasdotto, su cui ha giurisdizione Cipro (da cui, tra le altre cose, il ruolo militare che la Turchia si è autoassegnata nella ‘gestione’ della Libia).
L’ultima ragione per cui il gasdotto EastMed rappresenta una minaccia ci riguarda molto da vicino, in tema di equità territoriale. Indovinate un po’ da dove transiterebbe il nuovo gasdotto sul territorio italiano? Dal Salento. Un Salento in cui si sta già costruendo la TAP, in un cantiere che lo Stato italiano ha militarizzato dal 2017 in seguito alla ferma opposizione degli abitanti della zona. Opposizione che il governo ha deciso di non tenere in alcuna considerazione, sempre nella logica secondo cui Roma decide ciò che è meglio per il Sud. Benché la decisione sul luogo specifico sia stata per il momento sospesa, gli interventi presentati alla Camera nel 2019 lasciano pensare che si sia deciso di costruire il terminale di EastMed in una delle perle del Salento: Otranto. Un luogo di cui è superfluo sottolineare l’importanza in termini turistici.
Tutto ciò sta avvenendo, come da consolidata prassi, lasciando fare all’ENI (dalle pochissime discussioni alla Camera, infatti, la posizione del governo – tanto di quello gialloverde finché è esistito che di quello giallorosa attuale – risulta ambigua). Come di costume, si prenderanno decisioni e poi si cercherà d’imporle alla popolazione a contratti firmati, magari con un contingente dell’esercito in loco, in modo da depotenziare ogni opposizione. Sempre che non ci si cominci a muovere prima.
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