di Loredana Fasano M24A - ET Commissione Ambiente
Come è noto l’Italia ha scelto il metano nei suoi piani energetici e di abbattimento dei gas ad effetto serra.
Questa scelta ha fatto si che già oggi, prima ancora della realizzazione del TAP, la somma del gas importato, aggiunto a quello estratto nel territorio nazionale, ecceda il fabbisogno.
Nonostante ciò, mentre non vi è nessun ripensamento sul TAP e si vaneggia su un nuovo gasdotto da Israele, si progettano nuovi rigassificatori, tre di grandi dimensioni, più una rete di mini rigassificatori.
Se questi progetti si realizzeranno, l’Italia diventerà l’HUB del gas europeo perchè importerà il doppio del gas che consumerà. Tutto ciò anche se entro il 2050 si dovrà raggiungere il livello di zero emissione nette di CO2.
La propaganda dei fossilisti, ENI in testa, esalta i rigassificatori perchè avrebbero trascurabil impatti ambientali e perchè, aumentando il metano disponibile, avrebbero effetti benefici in termini di minori emissioni di C02 rispetto agli altri fossili (circa il 40% in meno).
Niente è più falso, con riguardo a tutti i tipi di rigassificatori, specialmente quelli offshore che sono i più convenienti per le imprese perchè hanno minori costi di gestione.
Innanzitutto va detto che questi impianti sono così energivori che consumano più energia di quanto ne possano produrre.
Il consumo di energia è dato da questa somma:
1) energia che serve per gli impianti di liquefazione del gas (si usano etilene e propano per portarlo alla temperatura di liquefazione che è meno di 161 gradi. Il rapporto fra volume del metano in stato gassoso e stato liquido è di 1 /600) ;
2) energia che serve alle navi metaniere per il trasporto del gas liquefatto da un capo all’altro del mondo, da tenere alla temperatura di -161 gradi in apposite celle refrigerate;
3) energia per la conservazione di tale temperatura negli impianti di rigassificazione
4) energia per la rigassificazione.
Inoltre, anche in termini di emissione di C02, facendo le somme, sono peggio di una centrale a carbone (non bisogna dimenticare che solo durante il processo estrattivo del gas naturale se ne disperde il 10% in atmosfera e che si calcola che il metano abbia un effetto serra che è almeno 40 volte più potente della CO2).
Gli impianti offshore (lo sono quelli italiani di La Spezia, Rovigo e Livorno), utilizzano enormi quantità di cloro per tenere le condotte pulite e l’acqua del mare quale scambiatrice di calore. Questo produce un effetto devastante sull’ecosistema marino , ben noto nella letteratura scientifica, inducendo per giunta la creazione di sostanze tossiche che entrano nella catena alimentare.
Infine vi è un aspetto di cui pochi parlano e cioè quello della pericolosità di questi impianti. Se uno dovesse esplodere, liberando tutta l’energia del gas liquefatto stoccato in modo istantaneo, supererebbe l’energia liberata da una bomba atomica. Un evento di questo tipo, meno male, non è possibile, perchè il gas liquefatto non è esplosivo. Ma un incidente rilevante potrebbe dar luogo ad una prima esplosione seguita da un devastante incendio con fiamme che si propagano per decine di km.. E’ già avvenuto a Cleveland, USA, dove nel 1944 morirono 130 operai. Si dice che la tecnologia attuale scongiura incidenti di quel tipo. Sarà, ma un minimo di rispetto del principio di precauzione imporrebbe quantomeno di vietare la costruzione di tali impianti in zone sismiche. Principio che i governi italiani sono poco propensi a rispettare visto che hanno dato il via libera al rigassificatore di Gioia Tauro, in una delle zone a più alto rischio di terremoti devastanti in Europa.
Fra gli altri impianti di rigassificazione che hanno già ottenuto il parere positivo da parte del MATTM, ovvero la cui istruttoria è in corso, spiccano quelli di Gela e di Taranto, territori devastati dalle industrie. Quello di Taranto era stato bocciato 10 anni fa. Ora rispunta di nuovo. Sarà perche la vicenda ILVA ha dimostrato che in quella città si può fare tutto?
Per finire, come sempre, quando si parla di fonti fossili, viene da domandarsi quali siano gli interessi che si vogliono tutelare. Di certo non sono quelli generali, considerata la dannosità ambientale e la sconvenienza economica. Nel caso dei rigassificatori una delle multinazionali interessata è l’ENI, mentre gli USA sono lo Stato maggiormente interessato commercialmente, visto che gli impianti di liquefazione più grandi al mondo sono ubicati lungo le loro coste orientali.
Leave a Reply