di Mariagrazia Dilillo
Nell'ambito delle misure adottate dal Governo per il contenimento e la gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, il Presidente del Consiglio dei ministri con il DPCM del 26 aprile 2020 ha raccomandato il massimo utilizzo della modalità di lavoro agile (smart working), per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza.
Lo "smart working" adottato durante la pandemia è tuttavia una "forma semplificata", diversa quella prevista dalla Legge n.81/2017, che pone l'accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l'accordo individuale e sull'utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto, ed è stata dettata dallo stato di emergenza come alternativa al blocco completo delle attività, sia nel pubblico che nel privato.
Si è creata pertanto non poca confusione nella comprensione di cosa sia effettivamente lo smart working, che prima dell'emergenza COVID era poco conosciuto in Italia e spesso confuso con pratiche per certi versi simili ma in realtà molto diverse, come il Telelavoro e il Lavoro da Remoto. Ne è conseguito un acceso dibattito sull'opportunità di ricorrervi diffusamente in futuro, già a partire dal termine dello stato di emergenza COVID previsto per il prossimo 15 Ottobre.
"Lo Smart Working, o Lavoro Agile, è una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda o nella pubblica amministrazione che si basa su alcuni pilastri fondamentali: revisione della cultura organizzativa, flessibilità rispetto a orari e luoghi di lavoro, dotazione tecnologica e spazi fisici".
Numerosi studi, effettuati soprattutto in paesi pionieri dello smart working, come l'Inghilterrra e l'Olanda, dove lo smart working è divenuto una realtà regolamentata nell'ultimo decennio, dimostrano che, laddove questo modello organizzativo sia stato in grado di affermarsi in modo maturo, generando autonomia e responsabilità nelle persone, riconoscendone il merito e sviluppandone il talento, ha portato notevoli vantaggi in termini di produttività (fino al 15%: proiettando l’impatto a livello complessivo di sistema Paese, è stato calcolato che l’effetto dell’incremento della produttività media del lavoro in Italia è stimabile fino a poco meno di 14 miliardi di euro), di raggiungimento degli obietti, di welfare e di qualità della vita del lavoratore.
Lo stesso Parlamento Europeo, con la risoluzione del 13/9/2016, sostiene il Lavoro Agile, del quale evidenzia i benefici sociali che scaturiscono dall’equilibrio tra lavoro e vita privata.
Durante l'emergenza COVID, in Italia il decreto attuativo del 23 febbraio 2020 n.6 (misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica) ha favorito l'adozione dello Smart Working (attuabile sin da subito e senza accordo preventivo col dipendente) spingendo molte realtà imprenditoriali a far uso di questo strumento per ridurre al minimo i rischi e le possibilità di contagio, senza interrompere le loro attività. Si è trattato di una "rivoluzione" drastica del modo di lavorare per migliaia di persone, dalla quale alcune dichiarano di aver tratto beneficio, altre no. Quali sono le ragioni di questa differenza di valutazione?
Oltre alla differenza sostanziale tra il "vero" smart working, cioè quello regolamentato dalla Legge n.81/2017, e lo smart working attuato durante il lockdown (imposto, non concordato tra le parti, senza una vera regolamentazione a tutela del lavoratore - es diritto alla disconnessione - e sostanzialmente coincidente con una clausura domiciliare forzata), che ha gravato su tutti i lavoratori smart (e a tal proposito, in Senato c’è già un disegno di legge, depositato a fine maggio presso la Commissione Lavoro, prima firmataria Sabrina Ricciardi, che ha come oggetto una delega al Governo per il riordino della disciplina in materia di lavoro agile), i motivi della differente percezione dei benefici dello smart working non risiedono tanto nella pratica lavorativa in sé ma soprattutto nelle maggiori difficoltà organizzative che hanno comportato per le lavoratrici e i lavoratori che sono stati obbligati a "lavorare da casa" in un periodo in cui le scuole erano chiuse e ogni forma di assistenza alla famiglia era sospesa, in molti casi senza formazione e senza strumenti tecnologici adeguati e, nelle aree meno raggiunte dal digitale, con scarsa connessione di rete. Essendo obbligati a lavorare da casa, i lavoratori e le lavoratrici con famiglia, specialmente con figli piccoli, hanno dovuto sopportare un enorme carico contemporaneo di lavoro e di cura alla casa e alla famiglia, che ha gravato in particolar modo sulle donne, amplificando problemi pre-esistenti e incrementando il divario di genere (ancora una volta molte donne hanno deciso di lavorare meno o abbandonare il lavoro, specialmente se precario), spesso provocando, sul piano personale, isolamento, frustrazione, depressione e difficoltà nei rapporti familiari.
L'insufficienza delle politiche a sostegno delle famiglie, la scarsa disponibilità di tecnologie digitali, la mancanza di formazione per lo sviluppo di competenze digitali e l'inadeguatezza o la totale assenza della copertura di rete internet, necessarie per permettere alle persone di svolgere il proprio lavoro anche da remoto, sono particolarmente gravi nel Mezzogiorno e in alcune aree interne, dove lo Stato, ogni anno, investe nella scuola, nel welfare, nell'assistenza alle famiglie e perfino nella digitalizzazione, molti miliardi in meno che al Nord. In questo difficilissimo contesto, in un Paese ancora molto lontano dal garantire pari diritti e pari opportunità a tutti i suoi cittadini, ancora una volta le più penalizzate sono le lavoratrici meridionali.
L'epidemia, con tutta la sua drammaticità, ha mostrato che il modello economico dell'accentramento e dello sfruttamento selvaggio dell'ambiente è sbagliato e destinato a finire e che lo smart working può essere davvero uno strumento formidabile per conciliare vita e lavoro, lavoro e ambiente, e contribuire al riequilibrio dell'economia di tutti i territori del Paese, favorendo il ripopolamento delle aree abbandonate del Mezzogiorno e dei territori interni e rilanciando così lo sviluppo di quei luoghi che erano stati "lasciati indietro", con il contemporaneo, salutare e benefico decongestionamento delle città.
Tuttavia, se non si elimina il divario esistente tra le diverse zone del Paese in una fase di transizione epocale dall'era industriale a quella informatica, e non si attuano ovunque le corrette politiche a sostegno della famiglia e del lavoro agile, specialmente nel Mezzogiorno, dove sono assolutamente insufficienti, se non cambia l'assetto sociale che attribuisce quasi esclusivamente alla donna il carico fisico e morale della cura alla casa e alla famiglia, lo smart working anziché migliorare la qualità della vita delle lavoratrici può diventare un potente strumento coercitivo e penalizzante per le donne, che vedrebbero aumentare il divario rispetto agli uomini e, nel caso delle lavoratrici del Mezzogiorno, anche rispetto alle loro colleghe settentrionali, rischiando di vanificare l'effetto del contro esodo e di allontanare l'obiettivo dell'equità.
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